Corte costituzionale italiana, N. 20/2025, 29 gennaio 2025

La Corte costituzionale italiana è tornata sull’annosa questione dell’esenzione dall’imposta comunale per gli edifici religiosi e, con l’occasione, ha ribadito la peculiare gerarchia delle fonti propria del diritto ecclesiastico.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla prima sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte. L’ordinanza di rimessione censurava il regime di esenzione dalle imposte comunali sugli immobili (ICI), previsto dall’art. 7, c. 3, lett. i) del D.Lgs. n. 504 del 1992, recante norme in tema di riordino della finanza degli enti territoriali. Secondo la disposizione, sarebbero esenti da imposta i fabbricati destinati esclusivamente allo svolgimento, tra le altre, di attività assistenziali e didattiche. Secondo il Giudice rimettente, il regime di esenzione ICI (oggi superato) vertente sugli immobili ecclesiastici non consentirebbe di scorporare i fabbricati ad uso promiscuo dove, ad esempio, una superficie potrebbe essere destinata al culto (e sarebbe quindi esente da imposte) mentre altre porzioni del fabbricato potrebbero essere utilizzate per finalità diverse dal culto (e risulterebbero quindi imponibili).
La mancata possibilità di scorporare le attività religiose (esenti) dalle attività diverse (imponibili) comporterebbe il venire meno di uno degli impegni che la Repubblica ha assunto con la Santa Sede con la stipula dell’Accordo di Villa Madama. L’art. 7, c. 3, dell’Accordo del 18 febbraio 1984 riflette uno dei principi fondamentali che animano il diritto ecclesiastico tributario – il principio di equiparazione – secondo cui, agli effetti tributari, gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione.
La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità sollevata dal giudice a quo e ha chiarito alcuni punti relativi, da una parte, alla gerarchia delle fonti del diritto ecclesiastico e, dall’altra parte, al trattamento fiscale riservato agli enti ecclesiastici.
Innanzitutto, la copertura costituzionale dei vincoli internazionali di origine pattizia (in particolare le revisioni apportate nel 1984 ai Patti lateranensi del 1929) è da rinvenire nell’art. 7 Cost. e non nel rinvio mobile realizzato dall’art. 117 Cost. utile, invece, all’ingresso nell’ordinamento italiano delle norme internazionali pattizie non qualificate.
In secondo luogo, l’ordinanza di rimessione non avrebbe correttamente considerato la sopravvenuta disciplina fiscale dell’IMU. A differenza dell’ICI, il regime di esenzione introdotto successivamente dall’IMU condiziona il riconoscimento dell’agevolazione fiscale per gli immobili ecclesiastici di uso promiscuo al frazionamento catastale delle aree pertinenti. Tale assetto normativo, peraltro, è stato ritenuto compatibile con il diritto UE, rendendo irrealizzabili opacità fiscali e non essendo distorsivo delle regole della concorrenza del mercato unico.
(Commento di Tania Pagotto)