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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Consiglio di Stato francese (Conseil d’État), N. 490505, 3 marzo 2025

Consiglio di Stato francese (Conseil d’État), N. 490505, 3 marzo 2025

Le Sezioni V e VI del Consiglio di Stato francese si sono di recente pronunciate in merito al ricorso promosso dal Sindacato degli Avvocati di Francia, che ha richiesto l’annullamento per eccesso di potere della decisione assunta dall’assemblea generale del Consiglio Nazionale degli Avvocati (CNB) che aveva introdotto il divieto, rivolto a tutti i professionisti iscritti all’Ordine, di indossare simboli distintivi insieme alla tradizionale toga.

Ai sensi dell’art. 3 della Legge 31 dicembre 1971, gli avvocati, in quanto funzionari giudiziari, vestono, nell’esercizio delle loro funzioni, l’abito della loro professione. Inoltre, l’art. 6 del Decreto consolare del 23 dicembre 1802 sancisce che «alle udienze di tutti i tribunali, i giuristi e i procuratori indosseranno la toga di lana, chiusa sul davanti, con maniche larghe».

L’art. 21-1 della Legge 31 dicembre 1971 prevede altresì che il Consiglio Nazionale degli Avvocati sia l’organo deputato ad armonizzare, tramite previsioni generali, usi e regole validi per la professione d’avvocato, rispettando sempre, ai sensi dell’art. 53, l’indipendenza dell’avvocato, l’autonomia dei consigli dell’ordine e il carattere liberale della professione.

Posto questo quadro normativo, il Consiglio di Stato ne ha desunto un potere regolamentare in capo al CNB, che può essere esercitato, appunto, per uniformare le regole essenziali che governano la professione, nel rispetto del libero esercizio della stessa e delle regole fondamentali poste a salvaguardia dell’esercizio dell’avvocatura, e purché esso trovi riscontro in previsioni legislative o regolamentari o nelle tradizioni professionali.

Il CNB si era astenuto a lungo in materia di porto di simboli distintivi durante l’esercizio della professione forense, determinando un’asimmetria regolatoria a seconda delle determinazioni assunte dai diversi ordini professionali. Il dibattito si era riproposto a più riprese con particolare riguardo al porto del velo da parte di avvocate di religione islamica. Il quadro era quindi caratterizzato dalla convivenza di regimi molto distanti tra loro, dalla completa anomia sul punto al rigoroso divieto del porto dei simboli religiosi, passando per il divieto di decorazioni. Nel 2022, la Corte di cassazione (1a Civile, 2 marzo 2022, n. 20-20185) ha sollecitato il CNB ad armonizzare le regole in materia, cosicché, svolte alcune audizioni, il Consiglio ha adottato la decisione il 7 settembre 2023 e impugnata dal Sindacato degli Avvocati di Francia nella pronuncia in esame.

Coerentemente con l’interpretazione fornita dalla Corte di cassazione nel precedente citato, il Consiglio di Stato francese ha ritenuto sussistente il potere regolamentare in capo al CNB, nei limiti dettati dall’art. 53 della Legge 31 dicembre 1971. Inoltre, il giudice ha ravvisato il fondamento del divieto introdotto dal CNB nell’art. 3 co. 3 della Legge 31 dicembre 1971, che imponeva a tutti gli avvocati un abito uniforme: il Consiglio degli Avvocati si è quindi limitato a specificare l’operatività di questa previsione, senza introdurre nuove prescrizioni, rispettando la propria competenza. Infine, il Consiglio di Stato ha sottolineato che la previsione è priva di ambiguità ed è precisa nella determinazione del campo di applicazione: pertanto, non residuano profili di illegalità della decisione impugnata.

Sulla base di questa architettura argomentativa, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la decisione impugnata perseguisse lo scopo di identificare in maniera precisa gli avvocati nelle loro funzioni giudiziarie ed evitare commistioni personali rispetto alla rappresentazione degli interessi dei propri assistiti, garantendo così l’eguaglianza tra i professionisti stessi e tra i cittadini davanti alla giustizia, presupposto fondamentale per garantire il diritto a un equo processo. In definitiva, la decisione persegue uno scopo legittimo e il divieto sancito risulta proporzionato al fine: la Corte ha quindi escluso la sussistenza delle argomentazioni a favore della potenziale violazione delle fonti sovranazionali citate (artt. 9-10 CEDU e artt. 18-19 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici).

La tesi del giudice amministrativo francese ha quindi condotto univocamente a un rigetto del ricorso presentato dal Sindacato degli Avvocati francesi, determinando la perdurante vigenza del divieto di indossare simboli distintivi durante l’esercizio della professione forense.

La decisione esaminata, che non cita esplicitamente le fattispecie legate al porto del velo islamico che hanno condotto all’assunzione della decisione da parte del CNB, si colloca coerentemente nella politica di gestione del fattore religioso adottata dalla Francia. La laïcité francese, infatti, è caratterizzata da una forte distinzione tra la sfera pubblica e la sfera privata, soprattutto laddove si profilino casi riguardanti l’espressione di un potere pubblico. Da questo punto di vista, è noto il rigore con il quale si applica la neutralità nelle Pubbliche Amministrazioni francesi. Tuttavia, la tendenza a usare la c.d. politica del muro bianco informa in maniera pregnante l’ordinamento francese che da ultimo, con l’emanazione della Legge 1109 del 24 agosto 2021, ha rafforzato le previsioni in materia di laicità dello Stato, in alcuni casi inasprendole. La sentenza del Consiglio di Stato, in definitiva, pare dare pieno riscontro all’atteggiamento rigorosamente laïque della Repubblica Francese.

 

(Commento di Martina Palazzo)