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I.G. e altri c. Slovacchia, N. 15966/04, Corte EDU (Ex Quarta Sezione), 13 novembre 2012

Abstract

Sterilizzazione di una donna di etnia rom senza consenso libero e informato, trattamento inumano e degradante. La mancanza di garanzie per la salute riproduttiva di gruppi etnici vulnerabili viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Assenza di prove di una discriminazione strutturale. Indagine penale come mera obbligazione di mezzi.

Riferimenti normativi

Art. 3 CEDU
Art. 8 CEDU
Art. 12 CEDU
Art. 14 CEDU

Massima

1. Il trattamento di una persona è considerato “degradante” quando umilia o svilisce un individuo, mostrando una mancanza di rispetto per o una diminuzione della sua dignità umana, o quando suscita sentimenti di paura, angoscia o inferiorità; per rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 3 tale trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità e la valutazione di tale livello minimo è relativa, dipendendo da tutte le circostanze del caso, come la durata del trattamento, i suoi effetti fisici o mentali e, in alcuni casi, il sesso, l'età e lo stato di salute della vittima.

2. Una sterilizzazione nell'ambito di un parto con taglio cesareo, effettuata in assenza di necessità salvavita e per la quale non era stato ottenuto il consenso informato preventivo né della ricorrente né dei suoi rappresentanti legali, è incompatibile con l'esigenza del rispetto della sua libertà e dignità umana. Pertanto, tenendo conto anche della natura dell'intervento, delle sue circostanze, del sentimento di svilimento e di umiliazione della ricorrente, della sua età e anche del fatto che appartiene a un gruppo di popolazione vulnerabile, un tale trattamento raggiunge un livello di gravità che giustifica la sua qualificazione come degradante ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione.

3. Gli articoli 1 e 3 della Convenzione impongono alle parti contraenti obblighi procedurali di condurre un'indagine ufficiale efficace, che deve essere approfondita e rapida. Tuttavia, l'incapacità di una determinata indagine di produrre conclusioni non significa, di per sé, che sia stata inefficace: l'obbligo di indagare non è un obbligo di risultato, ma di mezzi. Inoltre, nello specifico ambito della negligenza medica, l'obbligo di effettuare un'indagine efficace può, ad esempio, essere soddisfatto anche se l'ordinamento giuridico offre alle vittime un rimedio nei tribunali civili, da solo o in combinazione con un rimedio nei tribunali penali, che consenta di riconoscere l'eventuale responsabilità dei medici coinvolti e di ottenere un adeguato risarcimento civile, come una condanna al risarcimento dei danni e alla pubblicazione della decisione. Tuttavia, un procedimento penale che si protrae troppo a lungo perché le autorità inquirenti non trattano il caso correttamente non è compatibile con l'esigenza di prontezza e ragionevole durata e implica una violazione procedurale dell'articolo 3 della Convenzione.
(Le ricorrenti avevano presentato una denuncia penale, ma il procedimento si è prolungato perché la Corte costituzionale ha ordinato alla procura regionale di riesaminare il caso, a causa di carenze nella trattazione dello stesso. I pubblici ministeri hanno infine escluso che fosse stato commesso un reato.)

4. L'assenza di garanzie che tengano in particolare considerazione la salute riproduttiva di una donna rom, in quanto individuo vulnerabile appartenente a un gruppo etnico particolarmente colpito dalla questione della sterilizzazione e del suo uso improprio - soprattutto in Slovacchia, secondo il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa -, ha comportato l'inadempimento da parte dello Stato convenuto dell'obbligo positivo di assicurarle una misura sufficiente di protezione che le consenta di godere effettivamente del suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, in violazione dell'articolo 8 della Convenzione. (Per questo rilievo peraltro la Corte ha ritenuto di non dover esaminare se i fatti avessero determinato anche una violazione del diritto della ricorrente a sposarsi e a fondare una famiglia, ai sensi dell'articolo 12 della Convenzione).

5. In assenza di informazioni disponibili e di prove oggettive solide abbastanza da dimostrare in modo convincente che i medici hanno agito in malafede, con l'intenzione di maltrattare la ricorrente, non è possibile concludere che la procedura di sterilizzazione faccia parte di una politica discriminatoria strutturale o che il comportamento del personale ospedaliero sia stato intenzionalmente motivato da pregiudizi razziali (cfr. n. 74832/01). Pertanto, le carenze della legislazione e della prassi in materia di sterilizzazioni, che colpiscono in particolare i membri della comunità rom, devono essere preferibilmente considerate solo alla luce dell'articolo 8 della Convenzione, senza che sia necessario determinare separatamente se i fatti del caso abbiano dato luogo anche a una violazione dell'articolo 14 della Convenzione.

(Caso di tre donne rom – il ricorso di una è stato stralciato dalla Corte dopo il suo decesso e la richiesta dei suoi figli di proseguirlo – che sono state sterilizzate in un ospedale pubblico durante un parto cesareo, a loro insaputa, e successivamente indotte a firmare un documento senza alcuna informazione sul suo contenuto. Solo in seguito le tre hanno appreso che il documento riguardava la procedura di sterilizzazione a cui erano state sottoposte.)

Note

La pratica della sterilizzazione forzata è (e lo era già all'epoca dei fatti in questione) condannata, come forma di violenza contro le donne, da molti documenti internazionali e atti di soft law (cfr., per esempio: Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, Raccomandazione n. 24, 20a sessione, 1999) e la Convenzione di Istanbul del 2011 (non firmata dalla Slovacchia) ne ha in seguito addirittura imposto l'incriminazione agli Stati firmatari. Inoltre, questa pratica è inclusa, nello Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale (di cui la Slovacchia è parte), tra gli atti che possono costituire genocidio o crimini contro l'umanità.

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