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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Valiullina e Altri c. Lettonia, Nn. 56928/19, 7306/20 e 11937/20, Corte EDU, Sezione Quinta, 14 settembre 2023

Valiullina e Altri c. Lettonia, Nn. 56928/19, 7306/20 e 11937/20, Corte EDU, Sezione Quinta, 14 settembre 2023

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha di recente pronunciato una significativa sentenza in tema di discriminazione e diritto all’istruzione. Il caso sottoposto alla Corte di Strasburgo riguarda l’impugnazione della riforma legislativa lettone che, nel 2018, ha previsto un aumento della percentuale di materie insegnate in lettone nella scuola pubblica e limitato l'uso della lingua russa, determinando, secondo i ricorrenti, un effetto negativo sulle opportunità di istruzione sugli studenti di madre lingua russa ed una discriminazione nell’accesso allo studio.

 

La Corte richiama le conclusioni adottate nel caso linguistico belga (Caso relativo ad alcuni aspetti del regime linguistico nell’insegnamento in Belgio, Nn. 1474/62 e altri 5, Corte EDU, Plenaria, 23 luglio 1968) e confermate in diverse successive occasioni (ex multis Cipro c. Turchia, N. 25781/94, Corte EDU, Grande Camera, 10 maggio 2001; Catan e Altri c. Repubblica di Moldavia e Russia, Nn. 43370/04, 8252/05 e 18454/06, Corte EDU, Grande Camera, 19 ottobre 2012) per le quali il diritto all'istruzione previsto dall’art. 2 del Primo protocollo addizionale alla CEDU, non avrebbe senso se non implicasse, per i suoi titolari, il diritto di ricevere l'istruzione nella lingua nazionale o in una delle lingue nazionali, senza che esso imponga agli Stati di rispettare le preferenze linguistiche dei genitori nel campo dell'istruzione o dell'insegnamento.

Su tali premesse, la Corte ritiene che, essendo il lettone l'unica lingua ufficiale della Lettonia, i ricorrenti non potevano, facendo leva sull'articolo 2 del Protocollo n. 1, lamentarsi di una riduzione dell'uso del russo come lingua di insegnamento nelle scuole lettoni. E poiché i ricorrenti non hanno presentato alcun argomento specifico a sostegno dell'affermazione che le restrizioni avessero avuto un effetto negativo sulle loro opportunità di istruzione, la Corte di Strasburgo ritiene che non sia ricevibile il ricorso fondato sulla violazione dell’art. 2 del primo protocollo addizionale della CEDU.

Quanto alla lamentata violazione dell’art 14 Cedu in combinato disposto con l’art 2 P1 Cedu, e dunque alla sussistenza di una discriminazione fondata sulla lingua d’insegnamento, la Corte ritiene che la differenza di trattamento che la riforma legislativa del 2018 ha introdotto nel sistema educativo lettone sia giustificata da un fine legittimo. Secondo la Corte, considerando i fattori storici che hanno notevolmente limitato l'uso del lettone nel Paese per più di cinquant'anni, durante i quali la Lettonia è stata illegalmente occupata e annessa al regime sovietico e il russo imposto in molti settori della vita quotidiana, la necessità di proteggere e rafforzare la lingua lettone corrisponde al perseguimento dello scopo legittimo di preservare l’identità nazionale. Un secondo obiettivo legittimo sussiste, inoltre, nella necessità di garantire l’unità del sistema educativo lettone. Diversamente da altri casi esaminati dalla Corte, ove le accuse di discriminazione nell'accesso all'istruzione sono legate all'esistenza di scuole o classi separate per i membri di gruppi storicamente e socialmente svantaggiati (ex multis, D.H. e Altri c. Repubblica Ceca, N. 57325/00, Corte EDU, Grande Camera, 13 novembre 2007; Oršuš e Altri c. Croazia, N. 15766/03, Corte EDU, Grande Camera, 16 marzo 2010; Elmazova e altri c. Macedonia del Nord, Nn. 11811/20 e 13550/20, Corte EDU, Seconda Sezione, 13 dicembre 2022), nel caso in esame, uno degli obiettivi della legislazione in questione è proprio quello di facilitare l'accesso paritario degli alunni all'istruzione pubblica e cancellare le conseguenze della segregazione che aveva prevalso nell'istruzione sotto il regime sovietico, garantendo la pari opportunità a tutti gli alunni.

La riforma legislativa è, inoltre, considerata dalla Corte proporzionale rispetto al fine perseguito. Essa, invero, è stata adottata all’esito di un processo graduale, che ha portato a cambiamenti tutt’altro che imprevisti e repentini. Già nel 1991, la legge lettone aveva sancito il principio per il quale tutti dovessero ricevere l'insegnamento nella lingua ufficiale e tutte le successive modificazioni della legge sul tema sono state ampiamente dibattute nel contesto sociale, al fine di garantire un graduale aumento dell'uso del lettone come lingua di insegnamento nelle scuole pubbliche. Inoltre, la riforma del 2018 non ha abolito completamente il russo come lingua di insegnamento; ha permesso l'insegnamento in russo a livello di scuola primaria e ha previsto che a livello di scuola secondaria le materie speciali legate alla lingua, all'identità e alla cultura russa potessero ancora essere insegnate in russo. L’implementazione della riforma inoltre è avvenuta in modo flessibile e con un sufficiente margine di adattamento, a seconda delle esigenze dei singoli interessati, consentendo agli alunni che ne avessero bisogno di adattarsi alla nuova situazione e di prendere provvedimenti, se necessario, per migliorare la loro conoscenza della lingua ufficiale. Al contempo, la riforma ha garantito l'uso delle lingue minoritarie in proporzioni variabili, a seconda della scuola e della classe in cui l'alunno era iscritto, mantenendo la possibilità per gli alunni di lingua russa di apprendere la loro lingua e di preservare la loro cultura e identità.

In tal senso si può ritenere, secondo la Corte, che lo Stato lettone abbia istituito un sistema di insegnamento nella lingua ufficiale dello Stato nel rispetto delle minoranze linguistiche, giustificando in modo oggettivo e ragionevole la necessità di aumentare l'uso del lettone come lingua di insegnamento nel sistema scolastico.

 

In base a tali considerazioni, la Corte di Strasburgo ritiene che non sussista violazione dell’art. 14 Cedu in combinato disposto con l’art 2 P1 Cedu, laddove lo Stato convenuto non ha superato il suo margine di discrezionalità e la differenza di trattamento introdotta è compatibile con gli obiettivi legittimi perseguiti, proporzionata e non costituiva una discriminazione per motivi linguistici.

 

(Commento di Nadia Spadaro)