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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Testimoni di Geova c. Finlandia, N. 31172/19, Corte EDU (Seconda Sezione), 9 maggio 2023

Testimoni di Geova c. Finlandia, N. 31172/19, Corte EDU (Seconda Sezione), 9 maggio 2023

La sentenza della Corte di Strasburgo riflette sulla raccolta di dati personali svolta da una comunità religiosa durante la sua attività di propaganda senza il consenso degli interessati. I ricorrenti, invero, hanno lamentato violazione, tra gli altri, dell’art. 9 CEDU nella decisione delle autorità finlandesi, suffragata anche da una pronuncia in via pregiudiziale della Corte di Giustizia UE, di vietare di raccogliere e trattare dati personali in relazione alla predicazione porta a porta senza soddisfare i requisiti generali per il trattamento dei dati sensibili specificati nella legge sui dati personali, vale a dire senza il consenso inequivocabile dell'interessato.

 

Veniamo ai fatti: nel 2013, il Data Protection Board finlandese, a seguito di un'istanza del Garante per la protezione dei dati personali, aveva vietato alla comunità religiosa ricorrente, i Testimoni di Geova, di agire in tal senso. Una volta chiarito anche da parte della CGUE che la comunità dovesse essere considerata "responsabile del trattamento" dei dati personali raccolti e trattati dai suoi membri nel corso della predicazione porta a porta ai sensi della direttiva 95/46/CE sulla protezione dei dati, il Tribunale amministrativo aveva ritenuto che la comunità ricorrente e i suoi membri che raccoglievano i dati fossero da ritenersi responsabili del trattamento ai sensi della legge e aveva ordinato alla comunità di garantire, entro sei mesi, che non venissero raccolti dati personali per i suoi scopi senza che fossero soddisfatti i prerequisiti per il trattamento di tali dati.

 

Esperiti i gradi di giudizio interni, i Testimoni di Geova si sono dunque rivolti alla Corte EDU, lamentando in particolare violazione dell’art. 9. L'applicazione del requisito del consenso alla raccolta e al trattamento di dati personali e sensibili nel corso della predicazione porta a porta, un’attività religiosa volta a manifestare o diffondere la fede, certamente costituisce, infatti, un'interferenza con la libertà di propaganda della comunità. La questione centrale nel caso di specie si presenta dunque come l’individuazione del punto di equilibrio tra il diritto di libertà religiosa della comunità e il diritto alla privacy delle persone interessate, come sancito dalla legislazione nazionale sulla protezione dei dati e come tutelato dall'articolo 8 della Convenzione.

Anzitutto, l'ingerenza era stata prevista dalla legge, vale a dire dalla legge sui dati personali, in vigore all'epoca dei fatti, che aveva recepito la direttiva sulla protezione dei dati e aveva perseguito l'obiettivo legittimo di proteggere "i diritti e le libertà degli altri", nel caso di specie gli interessati. La legge mirava, infatti, a garantire la tutela del diritto al rispetto della vita privata, compreso il diritto alla privacy di coloro di cui venivano raccolti i dati.

In assenza di prove e controdeduzioni da parte della comunità richiedente, la Corte amministrativa suprema finlandese aveva stabilito che i singoli Testimoni di Geova, almeno in generale, non chiedevano agli interessati di acconsentire espressamente al trattamento dei dati personali, né la comunità forniva loro istruzioni in tal senso. I giudici di Strasburgo, concordando, hanno ritenuto che l’ordine di garantire, entro sei mesi, il rispetto dei previsti requisiti non fosse stato emesso nel tentativo di ostacolare le pratiche religiose dei singoli Testimoni di Geova, ma piuttosto per ragioni che avevano a che fare con il trattamento dei dati personali. Il diritto alla privacy appartiene anche alle persone i cui dati personali vengono trattati, che hanno il diritto di aspettarsi che le disposizioni relative al trattamento dei dati personali vengano rispettate.

La Corte EDU ha dunque concordato con il Tribunale amministrativo supremo sul fatto che le persone interessate godessero di una ragionevole aspettativa di privacy per quanto riguardava i dati personali e sensibili raccolti e trattati nel corso della predicazione porta a porta. Il fatto che alcuni dati personali potessero essere già di dominio pubblico non riduceva tale aspettativa, né significava che tali dati necessitassero di una minore protezione. Questo approccio ha trovato sostegno nella pertinente giurisprudenza della CGUE. Il requisito del consenso deve essere considerato una salvaguardia appropriata e necessaria al fine di prevenire qualsiasi comunicazione o divulgazione di dati personali e sensibili in contrasto con le garanzie dell'articolo 8, anche nel contesto della predicazione porta a porta da parte di singoli Testimoni di Geova. La Corte, infatti, non è riuscita a comprendere come la semplice richiesta e ricezione del consenso dell'interessato possa ostacolare l'essenza della libertà di religione della comunità ricorrente. Questa non ha presentato alcuna prova a sostegno del presunto "chilling effect" dell'ordine del Board, nonostante il tempo trascorso. Oltretutto, la legge si applica indistintamente a tutte le comunità religiose e alle loro attività – dunque, non può parlarsi di discriminazione – e alla comunità richiedente non era stata inflitta alcuna multa.

Di conseguenza, non c'erano motivi validi per cui la Corte dovesse censurare la posizione adottata dai tribunali nazionali e opporsi al bilanciamento effettuato da questi ultimi. Le ragioni addotte erano pertinenti e sufficienti a dimostrare che l'interferenza era "necessaria in una società democratica" e le autorità avevano agito entro il loro margine di apprezzamento nel trovare un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco.

 

La Corte ha quindi ritenuto, all'unanimità, che non vi fosse stata alcuna violazione dell'articolo 9 CEDU, sulla base dell'incompatibilità delle attività religiose della comunità ricorrente con le norme sulla protezione dei dati.

 

(Commento a cura di di Alessandro Negri)