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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Romanov e Altri c. Russia, Nn. 58358/14, 7146/15, 25887/15, 42395/15, 56617/19 e 56637/19, Corte EDU (Terza Sezione), 12 settembre 2023

Romanov e Altri c. Russia, Nn. 58358/14, 7146/15, 25887/15, 42395/15, 56617/19 e 56637/19, Corte EDU (Terza Sezione), 12 settembre 2023

La Corte EDU si è occupata di hate speech e crimini d’odio di matrice omofobica nel caso Romanov e Altri c. Russia dello scorso 12 settembre 2023. La decisione costituisce un contributo fondamentale al dibattito giuridico in tema di pluralismo e protezione dai discorsi e crimini d’odio. Il caso riguardava, infatti, plurimi atti violenti e dichiarazioni stigmatizzanti nei confronti di alcune persone LGBTI nel corso di vari eventi. Con questa sentenza, la Corte ha condannato una tendenza ricorrente nell’approccio delle autorità nazionali alle denunce di crimini a sfondo omofobico, ovvero la riluttanza delle stesse ad investigare i motivi omofobici delle aggressioni.

 

I sei ricorsi riguardavano undici cittadini russi, che lamentavano la violazione, tra gli altri, del divieto di trattamenti inumani e degradanti (articolo 3) letto alla luce del divieto di discriminazione (articolo 14). I ricorrenti, membri della comunità LGBTI, sostenevano l’inadempimento da parte della Russia del proprio obbligo positivo di garantire protezione dalla violenza commessa da soggetti privati, nonché di condurre delle indagini effettive sugli episodi di violenza avvenuti in un bar, in un centro di prevenzione dell’HIV e durante alcuni eventi svoltisi in strada in occasione del Coming Out Day, della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia e, infine, contro l’emanazione di una nuova legge che proibiva la "propaganda di relazioni sessuali non tradizionali".

 

Le violazioni commesse sono state di varia natura. Alcuni dei ricorrenti avevano ricevuto minacce di morte sul social media russo Vkontakte (paragrafo 15). Altri erano stati vittime di una serie di aggressioni fisiche e verbali.

Per esempio, uno dei contromanifestanti aveva sparato più volte con una pistola a spray urticante contro uno dei ricorrenti, urlando slogan omofobici come "la sodomia è un peccato mortale" (paragrafo 6) e causandogli numerose ferite. Altri contromanifestanti avevano lanciato pietre e fumogeni contro i partecipanti alle manifestazioni, provocando gravi ferite che avevano richiesto il ricovero in ospedale (paragrafo 23). Infine, due giovani uomini incappucciati avevano sparato con un fucile ad aria compressa negli occhi di uno dei ricorrenti, colpendolo poi con una mazza da baseball (paragrafo 31).

 

Nel corso degli eventi svoltisi in strada, nonostante la polizia fosse stata schierata per mantenere l’ordine pubblico, di fatto non era intervenuta per prevenire o placare le aggressioni. I ricorrenti si erano, quindi, ripetutamente rivolti alle autorità affinché indagassero i presunti moventi delle aggressioni, ovvero l’odio verso le persone LGBTI, ma queste avevano rigettato le denunce senza un adeguato esame delle circostanze.

 

Alla luce di ciò, la Corte ha notato "con grande preoccupazione che esiste una pratica diffusa nell’occuparsi dei crimini d’odio contro le persone LGBTI", che si materializza nell’inadempimento delle autorità "dell’obbligo di affrontare adeguatamente le connotazioni omofobiche delle aggressioni e di sottoporle ad una valutazione corretta dal punto di vista del diritto interno e conformemente ai requisiti della Convenzione" (paragrafo 79). Pertanto, la Corte ha riscontrato una violazione dell’articolo 3 in combinato disposto con l’articolo 14, poiché lo Stato ha inadempiuto all’obbligo di proteggere adeguatamente la comunità LGBTI da aggressioni violente, fisiche, verbali e motivate dall’odio, da parte di soggetti privati.

 

(Commento di Giovanna Gilleri)