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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Paun Jovanović c. Serbia, N. 41394/15, CEDU (Quarta Sezione), 7 Febbraio 2023

Paun Jovanović c. Serbia, N. 41394/15, CEDU (Quarta Sezione), 7 Febbraio 2023

Nel caso Paun Jovanović c. Serbia, il ricorrente, un avvocato di origine montenegrina, lamentava davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di aver subito una discriminazione ai sensi dell’art. 14 CEDU e dell’art. 1 del Protocollo N. 12 alla Convenzione. In particolare, nel corso di un’udienza di un processo penale, il ricorrente si rivolgeva a un testimone utilizzando la variante “Ijekavian” della lingua serba, ma veniva interrotto dal giudice che gli rammentava la necessità di esprimersi nella lingua ufficiale del tribunale. Al collega, difensore della vittima nello stesso procedimento, non veniva invece rivolto alcun richiamo a fronte dell’impiego della variante “Ekavian” della lingua serba.

 

Dopo aver deciso di esaminare il ricorso unicamente ai sensi dell’art. 1 del Protocollo N. 12 alla Convenzione, la Corte rileva innanzitutto la divergenza di vedute tra il Governo e il ricorrente rispetto alla ricostruzione dei fatti. Nella prospettiva del Governo, il tribunale non avrebbe impedito al ricorrente di esprimersi utilizzando la variante “Ijekavian” della lingua serba, ma avrebbe semplicemente domandato di riformulare una domanda in modo da consentire al testimone cui era rivolta di comprenderla. A questo riguardo, i giudici di Strasburgo osservano che non vi sono elementi nel verbale dell’udienza utili a supportare la versione del Governo. Piuttosto, nel verbale si legge che al ricorrente era stato chiesto di utilizzare la lingua ufficiale del tribunale, con la chiara implicazione che la variante linguistica “Ijekavian” non era considerata tale; nessun avvertimento del genere era stato rivolto all’avvocato difensore della vittima, che impiegava, invece, la variante “Ekavian” della lingua serba. La Corte rileva pertanto una differenza nel trattamento dei due avvocati, nonostante si trovassero in una situazione analoga: essi, infatti, stavano entrambi agendo per conto dei loro clienti nello stesso procedimento penale. Ricorda parallelamente che, per quanto solo la “lingua” sia esplicitamente menzionata come possibile motivo di discriminazione nell’art. 1 del Protocollo N. 12 alla Convenzione, una sua variante ufficialmente riconosciuta è coperta dallo stesso “status”.

Successivamente, la Corte considera se la differenza di trattamento fosse sostenuta da una ragionevole giustificazione. Precisa innanzitutto che è legittimo che uno Stato Parte della Convenzione regoli le questioni che riguardano l’uso ufficiale di una o più lingue nei procedimenti giudiziari e che lo stesso vale per le varianti di una stessa lingua. Nota poi che sia il Governo che Matica srpska, l’istituzione culturale e scientifica più antica della Serbia, hanno riconosciuto che la lingua serba ha due varianti equivalenti, la variante “Ijekavian” e quella “Ekavian”, e che entrambe possono essere utilizzate ufficialmente. Alla luce di ciò, la Corte ritiene che la differenza di trattamento tra i due avvocati non fosse sostenuta da ragionevoli giustificazioni.

 

In conclusione, la Corte ha statuito che il trattamento subito da ricorrente fosse discriminatorio in violazione dell’art. 1 del Protocollo N. 12 alla Convenzione.

 

(Commento a cura di Chiara Chisari)