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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

N.M. c. Belgio, N. 43966/19, CEDU (Seconda Sezione), 18 aprile 2023

N.M. c. Belgio, N. 43966/19, CEDU (Seconda Sezione), 18 aprile 2023

Nel caso N.M. c. Belgio, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata in merito al trattenimento del ricorrente, cittadino algerino e richiedente asilo, in un centro di detenzione per il rimpatrio in Belgio per un periodo di trentuno mesi, di cui sei mesi trascorsi in stato di isolamento parziale. Il ricorrente lamentava in particolare la violazione degli artt. 5 e 3 CEDU, in riferimento a differenti aspetti.

 

Quanto alla presunta violazione dell’art. 5 CEDU, il ricorrente evidenziava innanzitutto che la privazione della libertà cui era stato sottoposto non poteva considerarsi legittima ai sensi dell’art. 5, par. 1, lett. f) CEDU. Infatti, la detenzione non era finalizzata a impedirgli di accedere illegalmente al territorio belga (ex art. 5, par. 1, lett. f) CEDU, prima parte), dove lui si trovava su richiesta delle autorità locali. Inoltre, non poteva essere considerato un cittadino straniero nei confronti del quale era in corso un procedimento di espulsione (ex art. 5, par. 1, lett. f) CEDU, seconda parte), tenendo conto del suo status di richiedente asilo ostativo al respingimento e dell’assenza di ragionevoli prospettive di allontanamento. Ulteriormente, il ricorrente contestava ex art. 5, par. 1, CEDU l’esistenza di un fondamento giuridico nel diritto interno utile a legittimare la sua detenzione, oltre a rilevare l’arbitrarietà della stessa: da una parte, il periodo di detenzione pari a trentuno mesi sarebbe stato sproporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti dalle autorità belghe; dall’altra, la sua situazione di particolare vulnerabilità, dovuta all’età avanzata e al suo stato di salute mentale, avrebbe dovuto comportare l’applicazione di una misura meno restrittiva della detenzione. Infine, il ricorrente rappresentava la violazione dell’art. 5, par. 4, CEDU in considerazione dell’inadeguatezza del riesame giudiziario della sua detenzione, che sarebbe stato, nella sua opinione, di portata eccessivamente limitata.

 

In accordo con il ricorrente, la Corte esclude che egli potesse essere considerato al pari di una persona “non ancora entrata” nel Paese ai sensi dell’art. 5, par. 1, lett. f) CEDU, prima parte. Tuttavia, ritiene che le autorità belghe abbiano rispettato i requisiti di legittimità della detenzione di cui alla seconda parte dell’art. 5, par. 1, lett. f) CEDU. Infatti, la presentazione di una domanda di asilo non rende la detenzione amministrativa funzionale all’espulsione del richiedente incompatibile con l’art. 5, par. 1, lett. f) CEDU. Ciò che conta è che le autorità nazionali perseguano diligentemente l’obiettivo di allontanamento del richiedente, considerando anche eventuali rischi di maltrattamento a esso connessi. Tale circostanza si sarebbe verificata nel caso di specie. La Corte aggiunge che il presente caso è caratterizzato da preoccupazioni per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale – dovute, tra l’altro, a una condanna del ricorrente per appartenenza a un’organizzazione terroristica – che hanno fondato la decisione di trattenere il ricorrente in detenzione in pendenza della domanda di asilo.

La Corte rileva poi la conformità al diritto belga della detenzione del ricorrente ed esclude l’arbitrarietà della stessa. In primo luogo, l’arbitrarietà della misura viene esclusa osservando che la durata della detenzione non era irragionevole o sproporzionata rispetto allo scopo perseguito dalle autorità belghe, vale a dire il rimpatrio del ricorrente in Algeria. Il caso presentava infatti profili di particolare complessità e, comunque, la detenzione (e quindi la sua durata) era giustificata dalla pericolosità del ricorrente e dalla necessità di salvaguardare l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale. In aggiunta, la Corte ritiene che la situazione del ricorrente non fosse tale da meritare l’applicazione di misure alternative alla privazione della libertà personale, anche in considerazione del fatto che egli aveva avuto accesso alle cure mediche nel centro di detenzione. In relazione alla presunta inadeguatezza del riesame giudiziario della legittimità della detenzione, la Corte valuta l’analisi dei tribunali belgi “di portata sufficiente” ai sensi dell’art. 5, par. 4, CEDU, non riscontrando pertanto alcuna violazione della norma.

 

In merito alla presunta violazione dell’art. 3 CEDU, il ricorrente lamentava che, nel corso della sua detenzione, era stato posto in stato di isolamento parziale per un periodo di sei mesi senza poter accedere ad alcun servizio di assistenza medica. Riteneva che tali elementi avessero inciso sulla sua salute mentale nonché sulle sue capacità cognitive e sociali.

 

Sulla base della sua precedente giurisprudenza, la Corte ribadisce che lo stato di isolamento non costituisce di per sé una violazione dell’art. 3 CEDU; per stabilire l’occorrenza della violazione devono essere considerate le specifiche circostanze del caso concreto, ovvero la gravità e la durata della misura, lo scopo perseguito dalla stessa e i suoi effetti sulla persona interessata. Osserva poi che il ricorrente era stato sottoposto a regime di isolamento previa valutazione non solo del suo profilo, ma anche del suo comportamento. Da una parte, egli era noto alle autorità belghe per il suo radicalismo e per i suoi numerosi contatti con gruppi terroristici; dall’altra, specifici episodi avvenuti all’interno del centro di detenzione avevano testimoniato atteggiamenti antisociali del ricorrente e tentativi di proselitismo nei confronti di altri ospiti della struttura. La Corte conclude evidenziando che gli asseriti danni alla salute del ricorrente non trovano riscontro alcuno nel suo fascicolo, da cui piuttosto emerge la fruizione da parte sua dei servizi medici del centro. A fronte di tali considerazioni, la Corte ritiene che il ricorrente non abbia subito trattamenti inumani o degradanti e che non sussista pertanto la violazione dell’art. 3 CEDU.

 

Alla luce di quanto sopra, la Corte conclude che la detenzione del ricorrente sia stata disposta ed eseguita in accordo con gli artt. 3 e 5 CEDU e non rileva alcuna violazione della Convenzione nel caso in esame.

 

(Commento a cura di Chiara Chisari)