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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Muhammad c. Spagna, N. 34085/17, CEDU (Terza Sezione), 18 ottobre 2022

Muhammad c. Spagna, N. 34085/17, CEDU (Terza Sezione), 18 ottobre 2022

Nel caso Muhammad c. Spagna, il ricorrente, il sig. Muhammad, un cittadino pakistano da tempo residente in Spagna, lamentava di essere stato sottoposto a un controllo di identità da parte della polizia in ragione del colore della sua pelle. Più in particolare, nel maggio del 2013 il ricorrente stava passeggiando in una strada di Barcellona insieme a un amico, quando è stato fermato da due agenti di polizia per un controllo dei suoi documenti d’identità. Convinto che la polizia lo avesse approcciato unicamente in considerazione della sua origine etnica, il sig. Muhammad si è rifiutato di esibire i suoi documenti ed è stato per questo arrestato, per essere poi rilasciato a fronte della sua identificazione avvenuta presso la stazione di polizia. Tale ricostruzione dei fatti è stata parzialmente contestata dalla polizia, secondo cui le ragioni del controllo erano da rinvenirsi nel linguaggio irrispettoso usato dal ricorrente nei confronti degli agenti.

 

Alla luce di quanto sopra, il sig. Muhammad si rivolgeva alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando non solo di aver subito una discriminazione su base etnica nel corso del controllo d’identità in violazione degli artt. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (Divieto di discriminazione) CEDU, ma anche l’inadeguatezza delle indagini svolte a riguardo dalle autorità spagnole.

La Corte si è soffermata innanzitutto sull’ammissibilità del ricorso presentato dal ricorrente. Ha ricordato che i controlli d’identità possono costituire un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata di chi è sottoposto agli stessi. Ciò nonostante, non tutti i controlli d'identità di persone appartenenti a una minoranza etnica raggiungono una soglia di gravità tale da rientrare nell'ambito di applicazione dell’art. 8 CEDU. Tale soglia viene raggiunta solo se la persona interessata dichiara in modo circostanziato di essere stata sottoposta al controllo a causa di specifiche caratteristiche fisiche o etniche. In riferimento al caso di specie, la Corte ha osservato che, secondo le dichiarazioni del ricorrente, il controllo era stato effettuato esclusivamente in ragione del colore della sua pelle; esso poteva dunque considerarsi sufficiente a ledere la sua integrità psicologica e la sua identità etnica tutelate dall’art. 8 CEDU. La Corte ha quindi ritenuto che il controllo di identità in questione rientrasse nell'ambito di applicazione dell'art. 8 CEDU e che, in conseguenza, fosse applicabile anche l’art. 14 CEDU.

In riferimento alle questioni attinenti al merito, la Corte ha considerato inizialmente le rimostranze di carattere procedurale espresse dal ricorrente. In primo luogo, ha precisato che le discriminazioni razziali sono discriminazioni di particolare gravità e richiedono pertanto una “vigilanza speciale” e una “reazione vigorosa” da parte delle autorità nazionali, anche nei termini di uno “speciale dovere di indagine”. Conseguentemente, nelle ipotesi di denuncia di controlli di identità discriminatori su base etnica – e sempre che tali atti rientrino nell’ambito di applicazione dell’art. 8 CEDU – le autorità nazionali hanno il dovere, ai sensi dell'art. 14 CEDU, di svolgere indagini effettive e indipendenti. Da questo punto di vista, i giudici europei hanno ritenuto che nulla potesse imputarsi alle autorità spagnole: esse avevano infatti adempiuto al loro obbligo di indagine e il sig. Muhammad aveva potuto impugnare le decisioni dei tribunali nazionali, da qualificarsi come sufficientemente motivate e argomentate.

Sul versante sostanziale, la Corte ha valutato se il ricorrente avesse effettivamente subito una discriminazione su base etnica nel corso del controllo d’identità. A riguardo, il sig. Muhammad evidenziava che nessuna persona appartenente alla “maggioranza della popolazione caucasica” era stata fermata prima, durante o dopo il suo controllo d’identità. Sottoponeva poi all’attenzione della Corte alcune relazioni statistiche volte a dimostrare la pervasività delle discriminazioni razziali della polizia spagnola nel corso di controlli d’identità. La Corte ha però ritenuto tali elementi insufficienti a dimostrare la matrice discriminatoria del controllo subito dal ricorrente.

È importante infine sottolineare che il sig. Muhammad rilevava anche che le accuse di discriminazione razziale da lui avanzate di fronte alle autorità nazionali erano supportate da prove evidenti, che avrebbero dovuto comportare l’inversione dell’onere della prova a carico del Governo spagnolo, circostanza non verificatasi. Richiamando la sua giurisprudenza, la Corte ha chiarito che l’onere di provare una discriminazione grava sempre in capo a colui che la lamenta; solo quando la discriminazione è provata, esso si sposta in capo al Governo, che sarà chiamato a dimostrare le circostanze che la giustificano. I giudici di Strasburgo hanno poi osservato che gli elementi forniti del ricorrente a sostegno delle sue doglianze non erano sufficienti a invertire l’onere della prova al livello nazionale.

 

Tutto ciò considerato, la Corte ha ritenuto che il sig. Muhammad non avesse subito una discriminazione razziale nel corso del controllo d’identità cui era stato sottoposto e non ha pertanto riscontrato la violazione dell’art. 14 CEDU letto in combinato con l’art. 8 CEDU.

 

(Commento a cura di Chiara Chisari)