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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Loste c. Francia, N. 59227/12, Corte Edu (Sez. V), 3 novembre 2022

Loste c. Francia, N. 59227/12, Corte Edu (Sez. V), 3 novembre 2022

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha di recente pronunciato una sentenza nel caso Loste c. Francia (ricorso n. 59227/12), stabilendo, all'unanimità, una violazione dell'articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) in combinato disposto con gli articoli 3 e 9 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

 

La ricorrente lamentava la mancanza da parte del servizio francese di assistenza all'infanzia (ASE) di un follow-up del suo collocamento, all'età di cinque anni, presso una famiglia affidataria nella quale la ricorrente aveva subito abusi sessuali per dodici anni da parte del padre adottivo. Ha inoltre lamentato l'inadempienza della famiglia affidataria, che era testimone di Geova, di rispettare l'impegno assunto sotto forma di clausola di neutralità religiosa. Sebbene, infatti, la ricorrente provenisse da una famiglia mussulmana, i genitori affidatari la portavano con loro alle riunioni della congregazione e alle attività di predicazione e quando, all'età di 17 anni, la ricorrente fu coinvolta in un grave incidente stradale, scrissero all'ospedale chiedendo che non le venisse somministrato alcun emoderivato.

 

In via preliminare, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha osservato che i tribunali amministrativi francesi avevano respinto il ricorso per risarcimento danni della ricorrente nei confronti dell’Amministrazione Pubblica essendo decorso il termine prescrizionale dell’azione risarcitoria. A questo proposito, la Corte ha ritenuto, nelle circostanze molto specifiche del caso, che i tribunali nazionali avessero dato prova di un eccessivo formalismo, i cui effetti erano incompatibili con il diritto a un ricorso effettivo previsto dall’articolo 13 della Convenzione, che, conseguentemente, era da ritenersi violato.

La Corte di Strasburgo ha anche osservato che le autorità competenti non avevano messo in atto le misure preventive previste dalla legislazione in vigore all'epoca dei fatti per individuare il rischio di maltrattamento. Ha riscontrato, in particolare, che la mancanza di un regolare follow-up da parte dell'ASE, unita alla mancanza di comunicazione e di cooperazione tra le autorità competenti, abbia influenzato in modo significativo il corso degli eventi.

Ha concluso, dunque, che le autorità nazionali non avevano adempiuto al loro obbligo di proteggere la ricorrente dai maltrattamenti a cui era stata sottoposta durante l'affidamento, oltre a non aver adottato le misure richieste per garantire l'osservanza della clausola di neutralità religiosa. Vi è stata quindi una violazione dell'aspetto sostanziale dell'articolo 3 e anche dell'articolo 9 della Convenzione.

 

(Commento a cura di Nadia Spadaro)