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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Künsberg Sarre e altri c. Austria, Corte EDU (IV sez.), ric. nn. 19475/20 e altri, 17 gennaio 2023

Künsberg Sarre e altri c. Austria, Corte EDU (IV sez.), ric. nn. 19475/20 e altri, 17 gennaio 2023

Il caso in esame riguarda l’interferenza con la vita privata e familiare, protetta dall’Art. 8 CEDU e prende le mosse dell’avvenuta rettifica d’ufficio dei cognomi. Il Comune di Graz, Austria, aveva infatti modificato il cognome dei quattro ricorrenti, rimuovendo il prefisso “von”, e aveva negato il rilascio di una nuova carta di identità che identificasse i richiedenti con il cognome originario da essi portato.

In particolare, il cognome di tutti i ricorrenti, uniti da legami di parentela, era stato modificato automaticamente in applicazione della Legge sull’abolizione della nobiltà (Adelsaufhebungsgesetz), considerato espressione del principio di uguaglianza tra tutte le persone stabilito a seguito del crollo della monarchia e alla perdita dei privilegi nobiliari: il patronimico in questione, tuttavia, non era in realtà di origini nobiliari e, quindi, secondo i ricorrenti, era stato ingiustamente colpito dal provvedimento della pubblica amministrazione. Esaurite le vie di ricorso interne, i quattro si sono rivolti alla Corte di Strasburgo lamentando una violazione dell’Art. 8 CEDU.

 

La Corte di Strasburgo ricostruisce innanzitutto il significato del cognome concependolo come uno strumento che persegue un duplice scopo: da una parte, soddisfa l’interesse pubblicistico di identificare una persona e individuare un legame di parentela con una famiglia; dall’altra parte, inoltre, afferisce ai diritti della personalità, entrando a far parte di un corredo di fattori che concorrono a costituire l’identità di una persona. Eventuali modifiche, dunque, devono essere giustificate alla luce di uno scopo legittimo e di un interesse pubblico o un’esigenza sociale impellente, da valutarsi caso per caso e a stretto rigore.

La Corte riscontra che i ricorrenti hanno utilizzato il loro cognome per un lasso di tempo molto importante in cui avevano sviluppato un interesse, giuridicamente rilevante, a mantenerlo in uso come medium di identificazione della famiglia, dei legami di parentela e di identità personale. Tale interesse avrebbe dovuto essere tenuto in debita considerazione dalle autorità nazionali competenti, che non hanno bilanciato correttamente la ratio egalitaria della Legge sull’abolizione della nobiltà e il godimento del diritto al nome da parte dei ricorrenti ex Art. 8 CEDU.

Sussiste, in ultima analisi, un’avvenuta lesione della vita privata e familiare.

 

(Commento di Tania Pagotto)