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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Kilic c. Austria, N. 27700/15, Corte EDU (sez. IV), 12 gennaio 2023

Kilic c. Austria, N. 27700/15, Corte EDU (sez. IV), 12 gennaio 2023

La Corte Europea dei Diritto dell’Uomo, con sentenza del 12 gennaio 2023 (caso Kilic c. Austria, n. 27700/15), si è pronunciata sul ricorso presentato da due cittadini turchi, la signora Selma Kilic e il signor Mursel Kilic, avverso il diniego di reintegrazione nel contesto famigliare dei propri figli da parte dei tribunali nazionali austriaci.

Nel caso di specie, i minori, figli della coppia, erano stati sottratti alle cure dei ricorrenti in quanto vivevano in condizioni igienico-sanitarie tali da mettere in pericolo la loro condizione di crescita e di educazione e per questi motivi le autorità austriache competenti avevano deciso a favore di misure di restrizione di contatto sulla base del supremo interesse del minore.

I ricorrenti lamentavano che i minori erano stati collocati in famiglie cristiane austriache, le quali non parlavano turco e non aderivano alla religione islamica, sostenendo che tale decisione, da parte delle autorità competenti nazionali, avrebbe creato ai minori una privazione della loro identità turca e musulmana allontanandoli dunque dalla loro cultura e religione. Più in particolare, i ricorrenti sostenevano che vi erano delle interferenze interculturali e religiose con i diritti fondamentali dei minori, tale per cui la privazione dell’identità dei due bambini turchi, che ora venivano cresciuti senza alcun contatto con l’Islam o la loro cultura d’origine, era contraria alla lettera dell’articolo 8, interpretato alla luce dell’articolo 9 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.

 

Per la Corte, le autorità statali devono tenere in debito conto, nelle procedure di affidamento, l’interesse del genitore a che i propri figli siano collocati in una casa adottiva con un determinato contesto culturale, linguistico e religioso. Tale interesse potrebbe essere rispettato non solo trovando in ultima istanza una casa di accoglienza che corrisponda al contesto culturale e religioso d’origine dei minori, ma anche prendendo accordi in seguito per quanto riguarda la possibilità dei ricorrenti di avere contatti regolari con i loro figli, consentendo ai bambini di mantenere almeno alcuni legami con le loro origini culturali e religiose.

I giudici della Corte EDU hanno respinto il ricorso, ritenendo che l’accusa di cristianizzazione forzata, così come l’accusa che i genitori affidatari non avessero rispettato la cultura e la religione dei bambini non fossero adeguatamente provate. In particolare, i giudici a quo avevano giustificatamente respinto il ritorno dei minori alle cure dei ricorrenti in quanto ciò avrebbe creato un potenziale pericolo. Infatti, le restrizioni di custodia imposte dei ricorrenti erano la conseguenza di condotte negligenti poste nelle scelte educative e di crescita dei loro figli biologici. Nonostante ciò, le autorità statali avevano garantito regolari incontri e contatti dei minori  con i propri genitori biologici.

Di conseguenza, non è stata rilevata nessuna violazione dell’articolo 8, né da solo né in combinazione con l’articolo 9 della Convenzione.

 

(Commento a cura di Alessandro Cupri)