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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Kavala c. Turchia, N. 28749/18, Corte EDU (Grande Camera), 11 luglio 2022

Kavala c. Turchia, N. 28749/18, Corte EDU (Grande Camera), 11 luglio 2022

Con sentenza del 10 dicembre 2019, la Seconda Sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto una violazione dell’articolo 5 §§1 e 4 (“diritto alla libertà e alla sicurezza”) e dell’articolo 18 (“limite all’applicazione delle restrizioni ai diritti”), unitamente all’articolo 5 §1 CEDU, ritenendo che la custodia cautelare dell’attivista e difensore dei diritti umani turco Osman Kavala non fosse giustificata da alcun “ragionevole sospetto” e che avesse perseguito l’ulteriore scopo di indurlo al silenzio. La Corte ha inoltre stabilito ai sensi dell’articolo 46 CEDU (“forza vincolante ed esecuzione delle sentenze”) che la Repubblica di Turchia dovesse adottare ogni misura idonea a porre fine alla “detenzione del ricorrente e per assicurarne l’immediato rilascio”.

 

Poiché il sig. Kavala non è stato nel frattempo scarcerato, nel febbraio 2022 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha sottoposto alla Corte EDU la questione se le autorità turche si fossero conformate o meno alla suddetta decisione. Facendo riferimento in primis ai principi generali enunciati nella sentenza Ilgar Mammadov c. Azerbaigian del 2019 – ossia la prima procedura di infrazione attivata da parte dal Comitato dei Ministri –, l’11 luglio 2022 la Grande Camera ha ritenuto che la Turchia avesse violato l’articolo 46 della Convenzione.

Secondo la Corte EDU, nonostante la Turchia avesse compiuto alcuni passi verso l’esecuzione della sentenza Kavala, il ricorrente era stato sottoposto a custodia cautelare per più di quattro anni sulla base di circostanze che, nella loro decisione iniziale, i giudici di Strasburgo avevano ritenuto insufficienti a giustificare il sospetto che egli avesse commesso “qualsivoglia reato” e che erano risultate “in gran parte correlate all’esercizio di diritti della Convenzione”. Di conseguenza, la Grande Camera non ha potuto concludere che lo Stato Parte avesse agito in “buona fede”, compatibilmente con le “conclusioni e lo spirito” della sentenza Kavala, ovvero in modo da rendere concreta ed efficace la tutela dei diritti della Convenzione che la Corte ha ritenuto violati in tale pronuncia.

 

(Commento a cura di Marco Galimberti)