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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Italgomme Pneumatici s.r.l. e altri c. Italia, N. 36617/18 e altri 12, Corte EDU (prima sez.), 6 febbraio 2025

Italgomme Pneumatici s.r.l. e altri c. Italia, N. 36617/18 e altri 12, Corte EDU (prima sez.), 6 febbraio 2025

Con la sentenza del 6 febbraio 2025, la Corte EDU ha accertato la violazione dell’art. 8 CEDU da parte dello Stato italiano, in relazione alle modalità di accesso, ispezione e acquisizione di documenti contabili da parte dell’Agenzia delle entrate o della Guardia di Finanza presso i locali di svolgimento delle attività professionali o d’impresa.

I ricorrenti – dodici società e una persona fisica – lamentavano l’ampiezza eccessiva dei poteri conferiti alle autorità nazionali in materia di verifiche fiscali, nonché l’assenza di garanzie procedurali sufficienti contro abusi e arbitrarietà, come un autonomo controllo giurisdizionale o indipendente, sia ex ante che ex post, degli atti istruttori. I provvedimenti contestati, sebbene legittimati dalle disposizioni interne (artt. 51 e 52 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 32-33 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), non erano sottoposti a un vaglio preventivo da parte dell’autorità giudiziaria, salvo il caso in cui i locali aziendali coincidessero anche con un’abitazione privata.

Premesso che la tutela di cui all’art. 8 CEDU include, per imprenditori e professionisti, il rispetto della sede sociale e dei locali commerciali o professionali, secondo la Corte, la normativa italiana non soddisfa il requisito della “qualità della legge”, in quanto consente accessi, ispezioni e acquisizioni documentali sulla base di autorizzazioni meramente interne, scarsamente motivate e non assoggettabili ad un autonomo controllo giurisdizionale o indipendente. Tale ultimo diritto non è garantito, infatti, né dai rimedi esperibili dinanzi al Garante del contribuente né dalle possibilità di ricorso al giudice civile o al giudice tributario. Quest’ultima possibilità, in particolare, è subordinata al fatto che il controllo fiscale si concluda con la notifica di un atto impositivo, che potrebbe avvenire anche anni dopo la verifica subita. In ogni caso, la pertinente normativa interna non prevede alcuna condizione per autorizzare le verifiche nei locali commerciali o professionali, perciò la Corte non ritiene plausibile che un ricorso ex post che lamenti l’illegittimità dell’autorizzazione possa determinare l’annullamento di un avviso di accertamento, salvo il caso della totale mancanza di autorizzazione. È mancata, inoltre, una verifica sulla necessità e proporzionalità delle misure adottate, che costituiscono una rilevante ingerenza nella vita privata e professionale delle persone coinvolte.

Alla luce del carattere sistematico delle violazioni riscontrate, i giudici hanno sollecitato l’Italia ad attuare riforme in grado di garantire un’effettiva tutela dei diritti sanciti dalla Convenzione. A tal fine, hanno raccomandato di individuare criteri puntuali per l’autorizzazione degli accessi nei locali adibiti ad attività imprenditoriali e professionali, assicurando la possibilità di un ricorso effettivo contro le misure lesive.  La Corte ritiene che la maggior parte delle misure necessarie sia già prevista dal diritto domestico, in particolare dagli articoli 12 e 13 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212), ma che i principi generali ivi enunciati debbano essere attuati mediante norme più dettagliate e che la giurisprudenza debba essere allineata a tali principi e a quelli stabiliti dalla Corte.

 

(Commento di Chiara Francioso)