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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Il Comitato per l’organizzazione e la registrazione del Partito Comunista Romeno c. Romania, N. 20401/15, Corte EDU (Quarta Sezione), 21 dicembre 2021

Il Comitato per l’organizzazione e la registrazione del Partito Comunista Romeno c. Romania, N. 20401/15, Corte EDU (Quarta Sezione), 21 dicembre 2021

La Corte europea dei diritti dell’uomo si è recentemente pronunciata sulla mancata registrazione di un partito politico, reo di non aver preso le distanze dall’ex partito comunista al potere in Romania.

 

Nel caso di specie, il Comitato per l’organizzazione e la registrazione del Partito Comunista Romeno contestava il diniego della sua domanda di iscrizione all’interno dell’elenco nazionale dei partiti politici, lamentando l’avvenuta violazione degli artt. 10 (libertà di espressione) e 11 (libertà di riunione e di associazione) CEDU.

In particolare, tale rifiuto da parte delle autorità domestiche poggiava sia sulla mancata osservanza di alcuni requisiti di carattere formale che (soprattutto) sul fatto che il programma e lo statuto del partito in questione contenessero termini vaghi e generici, ignorando l’evoluzione socio-politica del Paese dopo il 1989, legittimassero azioni totalitarie ed estremiste, suscettibili di minare la sicurezza nazionale, e ponessero una minaccia per i valori democratici.

 

Investita della questione, la Quarta Sezione della Corte europea, richiamando la propria giurisprudenza pregressa in materia, ha ritenuto giustificata l’ingerenza da parte delle autorità romene, in quanto diretta ad impedire ad una formazione politica che aveva largamente abusato del suo potere per lungo tempo, di poter abusare dei propri diritti in futuro, e pertanto a scongiurare qualsiasi pericolo per la sicurezza nazionale o per i presupposti di una società democratica.

Alla base del suddetto rifiuto vi era l’intento di contrastare un abuso particolarmente grave, benché soltanto potenziale, il quale avrebbe leso i principi dello stato di diritto e le fondamenta della democrazia.

 

Ciò premesso, l’interferenza in oggetto rispondeva ad un “bisogno sociale pressante” e non risultava sproporzionata rispetto agli scopi legittimi perseguiti, segnatamente la tutela della sicurezza nazionale e dei diritti e delle libertà altrui.

In conclusione, poiché secondo i giudici di Strasburgo il rifiuto di registrare il partito ricorrente costituiva una misura “necessaria in una società democratica” ai sensi dell’art. 11 CEDU (l’unica disposizione della Convenzione presa in esame dalla Corte europea), il ricorso è dunque da considerarsi manifestamente infondato.

 

(Commento a cura di Marco Galimberti)