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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Fondazione del Monastero siriaco di San Gabriele a Mydiat c. Turchia, n. 13176/13, Corte EDU (Seconda Sezione), 3 ottobre 2023

Fondazione del Monastero siriaco di San Gabriele a Mydiat c. Turchia, n. 13176/13, Corte EDU (Seconda Sezione), 3 ottobre 2023

In una recente sentenza pronunciata contro la Turchia, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo si è occupata dell’accatastamento di un terreno rivendicato da un’istituzione religiosa che, reputandolo sacro, ne aveva mantenuto per lungo tempo ininterrotto il possesso.

 

La Fondazione del Monastero siriaco di San Gabriele a Mydiat si era affermata proprietaria del terreno. Si tratta di un ente religioso costituito all'epoca dell'Impero Ottomano, il cui statuto è attualmente disciplinato dalla Legge 13 giugno 1935, n. 2762, che gli riconosce la personalità giuridica. La Fondazione, tra l’altro, gestisce il Monastero di San Gabriele, uno dei più antichi del mondo.

Nel 2007, in occasione della redazione del catasto della città di Mydiat, il terreno controverso era stato intestato all'Erario. La Fondazione, per suo canto, sosteneva invece che prima di allora esso fosse stato parte integrante del cimitero della locale comunità siriaca. Osservava, al riguardo, che le fondazioni esponenziali delle comunità religiose beneficiano di un regime giuridico speciale, che consente loro l’acquisto per usucapione – altrimenti vietato dalla legge turca – dei terreni destinati a ospitare i cimiteri della rispettiva comunità.

Ne sorgeva una lunga controversia giudiziaria, al termine della quale la Corte di Cassazione respingeva le domande dell’ente religioso, ritenendo tra l’altro insussistenti i presupposti necessari alla prescrizione acquisitiva.

 

Dopo l’esaurimento dei rimedi interni, la Fondazione adiva allora la Corte di Strasburgo, lamentando una violazione dell’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale, in combinato disposto con l’art. 9 CEDU. Secondo l’interpretazione fornita dalla ricorrente e fatta propria della Corte, la norma si rivolgerebbe infatti anche ai procedimenti giudiziari relativi al diritto sostanziale di proprietà, di cui fruire nel rispetto dei canoni di ragionevolezza ed equità.

La Corte, pur riconoscendo di non potersi sostituire ai Giudici nazionali, ha ritenuto che il procedimento giudiziario di specie non avesse assicurato un’idonea garanzia dei diritti garantiti dalla Convenzione. I fatti sui quali si basava la pretesa della Fondazione – e in particolare il possesso ininterrotto del bene controverso prima del suo accatastamento – non sarebbero infatti stati adeguatamente indagati.

Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha ritenuto che lo Stato abbia violato l’obbligo di assicurare un rimedio giudiziale adeguato a tutelare il diritto di proprietà della ricorrente.

 

(Commento a cura di Andrea Cesarini)