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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Corte EDU, Gran Rabbinato della Comunità ebraica di Smirne c. Turchia, N. 1574/12, Corte EDU (sez. II), 21 marzo 2023

Corte EDU, Gran Rabbinato della Comunità ebraica di Smirne c. Turchia, N. 1574/12, Corte EDU (sez. II), 21 marzo 2023

La Corte EDU si è pronunciata sul rispetto del diritto di proprietà di un terreno e di una sinagoga il cui possesso era stato goduto ininterrottamente, inequivocabilmente e in modo incontrastato per oltre quattro secoli dalla comunità ebraica di Smirne (Turchia).

 

In via preliminare, è necessario chiarire che nell’ordinamento turco lo status giuridico delle comunità religiose si intreccia con l’avvicendarsi delle varie forme di stato.

Nel XIX secolo, durante l’Impero Ottomano, le comunità religiose non musulmane erano prive di personalità giuridica ma, in virtù di una legge del 1912, potevano comunque registrare i loro beni immobili in una sezione speciale del catasto – facoltà di cui il ricorrente (il Gran Rabbinato), però, non si era avvalso.

Con l’avvento della Repubblica nel 1923, è stata promulgata una nuova legge che riconosceva la personalità giuridica e lo status di fondazione a tutte le associazioni religiose istituite durante l’Impero Ottomano e a quelle che avrebbero presentato richiesta, purché nella domanda fosse specificato l’ammontare delle entrate economiche e l’elenco dei beni immobili posseduti. Anche in questo caso, il Gran Rabbinato non si era avvalso di tale facoltà.

Sebbene privo dello status di fondazione religiosa, il Gran Rabbinato tuttavia aveva comunque registrato a suo nome, nei competenti registri immobiliari, molte proprietà che risultavano come “sinagoghe”.

 

L’edificio oggetto del ricorso è stato costruito nel 1605 ed è stato utilizzato prima come sinagoga, poi come abitazione del Rabbino Capo di Smirne e, infine, come sede amministrativa del Rabbinato. Nel 1950, l’Alta Corte di Smirne, e poi anche la Cassazione, avevano riconosciuto con sentenza la proprietà della sinagoga al Rabbinato e ne avevano ordinato l’iscrizione del competente registro catastale a nome del richiedente. Ciò, però, non era mai avvenuto a causa dell’ingiustificato rifiuto delle autorità nazionali di procedere in tal senso.

Ottenuto lo status di fondazione religiosa, nel 2012 il Rabbinato ha chiesto ex novo la registrazione dell’edificio a suo nome. La richiesta è stata respinta dalle competenti autorità adducendo come motivazione il fatto che l’iscrizione del terreno, su cui la sinagoga era costruita, risultava a nome del pubblico erario. Esaurite le vie di ricorso interne, il ricorrente si è rivolto alla Corte di Strasburgo lamentando una violazione dell’Art. 1, Protocollo 1, che tutela il diritto di proprietà.

 

In prospettiva procedurale, la Corte ha ritenuto che il Gran Rabbinato fosse non solo una “vittima” ai sensi della Convenzione, ma anche un ricorrente legittimo, cui deve essere riconosciuta la capacità di agire in giudizio, poiché rappresenta i suoi fedeli e costituisce un’istituzione religiosa risalente al periodo ottomano.

 

Nel merito, poi, la Corte ha ritenuto ingiustificata l’interferenza dei poteri pubblici sul possesso inequivocabile, ininterrotto e incontrastato per oltre quattro secoli tanto del terreno, quanto della sinagoga, beni immobili caratterizzati da un uso legato alla vita religiosa della comunità ebraica. L’imprevedibile rifiuto di registrare il bene a nome di Rabbinato, in conseguenza dell’applicazione di disposizioni non rilevanti, non è compatibile con il principio di legalità e viola, pertanto, il diritto del ricorrente al rispetto della sua proprietà, garantito dall’Art. 1, Protocollo 1, della Convenzione.

 

(Commento a cura di Tania Pagotto)