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Corte di Cassazione italiana, Sez. V Penale, N. 30538/2021, 4 agosto 2021

Corte di Cassazione italiana, Sez. V Penale, N. 30538/2021, 4 agosto 2021

Con la sentenza n. 30538 del 4 agosto 2021, la Corte di Cassazione penale è tornata a pronunciarsi in materia di reati culturalmente motivati, in un caso di vendita di una ragazza di etnia Rom, minore di 16 anni, a fronte del c.d. “prezzo della sposa”.

Imputato era il padre della ragazza, che – senza il consenso di lei – l’aveva promessa in sposa ad un uomo, ricevendo in cambio di tale “cessione” un beneficio economico da parte del “patriarca” della famiglia cui apparteneva lo sposo.

Condannato in primo grado per il reato di riduzione in schiavitù aggravato (artt. 600 e 602-ter, commi 5, 6 cod. pen.), l’uomo ha fatto ricorso alla Corte d’Assise d’Appello di Firenze, che ha confermato la sentenza di prime cure, riconoscendo tuttavia le circostanze attenuanti generiche in ragione “della particolare condizione subculturale” in cui versava il soggetto.

Contro tale sentenza hanno fatto ricorso in Cassazione sia l’imputato che il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Firenze, quest’ultimo lamentando in particolare che la condizione subculturale dell’imputato non emergeva dalle risultanze processuali, attestanti al contrario un suo risalente e stabile inserimento in Italia.

Nei quattro motivi di ricorso proposti dalla difesa dell’imputato, invece, si è fatto leva soprattutto sulla sua diversa cultura, che – da un lato – lo avrebbe portato ad agire in modo conforme ad un vero e proprio “ordinamento giuridico” della comunità Rom di riferimento (nel quale la stessa cessione di una sposa a fronte di un prezzo corrisponderebbe ad un istituto giuridico consolidato) e – dall’altro lato – non lo avrebbe reso consapevole del processo di “reificazione” cui stava sottoponendo la figlia.

Interessante anche un ulteriore motivo, che – per la prima volta in Cassazione – ha preso in considerazione un reato di recente introduzione (la costrizione o induzione al matrimonio, di cui all’art. 558-bis cod. pen.): è stata dedotta, infatti, la mancata riqualificazione dei fatti contestati in tale ultima fattispecie, in quanto sopravvenuta e più favorevole.

La sentenza definitiva, che ha rigettato il ricorso dell’imputato, è interessante perché, dopo aver definito i “reati culturali” e ripercorso puntualmente gli orientamenti della Suprema Corte in materia, ribadisce che non è possibile attribuire alcuna valenza scriminante a fattori culturali, regole e consuetudini (nel caso di specie della cultura Rom), quando il soggetto agente abbia leso un bene giuridico di rango costituzionale appartenente al nucleo irrinunciabile dei diritti umani fondamentali, quale lo status libertatis tutelato dall’art. 600 cod. pen.

E l’unico ambito in cui tali fattori possono assumere qualche rilevanza, in alcuni casi, è quello della commisurazione del trattamento sanzionatorio, come correttamente individuato dal Giudice di secondo grado (in applicazione di tale principio, la Corte ha rigettato la relativa doglianza del Procuratore Generale).

Infine, con riferimento all’art. 558-bis cod. pen., la Cassazione afferma che l’introduzione, nel codice penale, del reato di costrizione o induzione al matrimonio (con legge n. 69/2019) non ha realizzato una successione di leggi penali incriminatrici rispetto al già vigente art. 600 cod. pen., in quanto i fatti tipizzati dalle due disposizioni non presentano elementi di contatto, rivolgendosi l’art. 558-bis cod. pen. ad un fenomeno – quello dei matrimoni forzati e/o precoci – di nuova incriminazione, non riconducibile in precedenza all’art. 600 cod. pen. 

 

(Commento a cura di Giordana Pepè)