Corte di Cassazione italiana, Sez. I Civile, n. 8369/2025, 30 marzo 2025

La Corte di Cassazione italiana è stata nuovamente investita di un caso di disaccordo dei genitori in merito all’attribuzione al figlio del cognome materno in aggiunta a quello paterno.
La questione dell’aggiunta del cognome della madre è divenuta assai attuale alla luce della sentenza n. 131/2022 della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato incostituzionale l’art. 262 c.c. nella parte in cui prevede con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio prenda il cognome del padre anziché prevedere che il figlio assuma il cognome di entrambi i genitori, nell’ordine concordato dai medesimi.
Nel caso di specie, a un bimbo nato nel 2015 da genitori tra loro coniugati era stato attribuito soltanto il cognome paterno, in ossequio alla legge a quel tempo vigente.
Anni dopo, la madre chiedeva di aggiungere il proprio cognome, adducendo diverse motivazioni identitarie e affettive, nonché sottolineando il valore storico e culturale del proprio nome, finanche citato da Dante nel XVI canto del Paradiso nella Divina Commedia. Il padre negava il consenso e, proprio per tale rifiuto, il Prefetto respingeva la modifica. La madre decideva quindi di rivolgersi al giudice ordinario al fine di comporre il contrasto tra i genitori.
Il padre si difendeva obiettando il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, poiché – nella sua ottica – avrebbe invece dovuto rivolgersi al giudice amministrativo, unica autorità in grado di pronunciarsi sul diniego prefettizio.
È anzitutto necessario precisare che il principio espresso dalla Corte Costituzionale del 2022, riguardante il momento attributivo del cognome, di regola legato all’acquisizione dello status filiationis, non è direttamente applicabile al caso di specie, in cui l’attribuzione del cognome si colloca in epoca antecedente alla menzionata pronuncia. La fattispecie in esame riguarda invece un’ipotesi di aggiunta successiva del cognome materno.
I profili maggiormente rilevanti che emergono dalla sentenza dei Supremi Giudici sono essenzialmente due.
Dal punto di vista procedurale, la Corte d’Appello di Firenze, avallata poi dalla Cassazione, ha chiarito che l’istanza di modifica del cognome di un minore, in caso di disaccordo tra i genitori esercenti la responsabilità genitoriale, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario secondo le disposizioni di cui agli artt. 316, commi 2 e 3, e 337-ter, comma 3, c.c. Invero, il Prefetto non ha il compito di valutare l’interesse del minore, ma soltanto di rilevare eventuali vizi formali.
Nel merito, tenendo conto dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, che ha rammentato che il cognome rappresenta un elemento essenziale dell’identità personale, tutelato dagli articoli 2 e 22 Cost., la Corte di Cassazione – alla quale spetta la valutazione dell’interesse del minore – ha ritenuto che la Corte d’Appello di Firenze avesse adeguatamente motivato la scelta di consentire l’aggiunta del cognome della madre, qualificando il rifiuto del padre come meramente emulativo e riconoscendo invece le ragioni – sia di ordine storico, sia affettive – della madre.
Nondimeno, la Suprema Corte ha infine precisato che non è consentito al giudice di ordinare direttamente la modifica dell’atto di nascita. L’autorità giudiziaria ha infatti soltanto il potere di autorizzare la madre a presentare l’istanza di modifica al Prefetto, in qualità di rappresentante ad acta.
(Commento di Martina D'Onofrio)