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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Consiglio di Stato italiano, Sez. II, N. 2851/2025, 28 gennaio 2025

Consiglio di Stato italiano, Sez. II, N. 2851/2025, 28 gennaio 2025

Il Consiglio di Stato, Sez. II, n. 2851/2025 si è pronunciato su un ricorso presentato da un’associazione culturale dedita al culto islamico, la quale aveva impugnato la decisione del Tar Veneto. In primo grado, infatti, il Tar aveva confermato l’ordine del Comune di Venezia di ripristinare la destinazione commerciale di alcuni locali siti in Venezia, che erano stati successivamente utilizzati come luogo di culto.

Nel giudizio d’appello, il Consiglio di Stato riconosce innanzitutto l’importanza costituzionale dell’esercizio del culto, quale espressione dei diritti fondamentali della persona e della sua personalità, sottolineando che, in uno Stato a-confessionale, tale diritto si accompagna ai principi di laicità e pluralismo religioso. In particolare, afferma che «L’esercizio del culto, in forma individuale o associata, in privato o in pubblico, è oggetto di un diritto inviolabile […]»; e che ciò «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale» (richiamando la storica sentenza della Corte cost., 12 aprile 1989, n. 203).

Secondo il Consiglio di Stato, questo principio comporta specifici doveri per gli enti locali e territoriali nell’esercizio delle loro funzioni amministrative, in particolare nella gestione del territorio: tali enti sono infatti tenuti a mettere a disposizione spazi pubblici per le attività religiose e, al contempo, ad astenersi dal porre ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto (Cons. St., Sez. II, n. 2851/2025, 9.2, FATTO e DIRITTO).

Tuttavia, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto pienamente applicabile al caso concreto il combinato disposto degli artt. 31-bis e 31-ter della l.r. Veneto n. 11 del 2004, che disciplina le «Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio» e prevede che la Regione e i Comuni del Veneto, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, individuino criteri e modalità per la realizzazione di strutture di interesse comune destinate ai servizi religiosi.

Partendo dalla destinazione commerciale originaria dell’immobile, come stabilito dagli strumenti urbanistici, il Consiglio di Stato ha quindi confermato la sussistenza di un abuso edilizio, in quanto l’immobile era stato adibito a luogo di culto senza il necessario titolo autorizzativo per il cambio di destinazione d’uso. Ciò richiama la competenza delle autorità di governo nella pianificazione territoriale, ovvero quella di «assicurare lo sviluppo armonico dei centri abitati e la realizzazione dei servizi di interesse pubblico […] tale da giustificare una regolamentazione da parte dei pubblici poteri».

Questo anche in considerazione del fatto che, come prescritto dall’art. 31-ter legge cit., in un luogo destinato all’esercizio di un culto religioso devono essere garantite «la presenza di strade di collegamento adeguatamente dimensionate»; «la presenza di distanze adeguate tra le aree o gli edifici da destinare alle diverse confessioni religiose»; e «la realizzazione di adeguati servizi igienici […]».

Pertanto, l’esercizio di un culto religioso deve sempre avvenire nel rispetto delle norme di sicurezza, che richiedono necessariamente il rilascio di uno specifico titolo edilizio per verificare la conformità dell’immobile ai requisiti di legge, o, per usare le parole del giudice della controversia, la «stipulazione di una convenzione con il comune, che nella specie manca».

 

(Commento di Bruno Pitingolo)