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Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Conclusioni dell’ Avvocato Generale Rantos, IX c. WABE eV e MH Müller Handels GmbH c. MJ, Cause C-804/18 e C-341/19, CGUE, 25 febbraio 2021

Conclusioni dell’ Avvocato Generale Rantos, IX c. WABE eV e MH Müller Handels GmbH c. MJ, Cause C-804/18 e C-341/19, CGUE, 25 febbraio 2021

Nelle cause riunite C-804/18 IX/WABE e.V. e C-341/19 MH Müller Handels GmbH/MJ l’Avvocato generale Rantos ha affrontato il tema della compatibilità con il diritto dell’Unione del divieto posto dall’impresa di uno Stato membro nei confronti dei propri dipendenti di indossare sul luogo di lavoro segni vistosi di convinzioni politiche, ideologiche o religiose. Al riguardo, egli considera che una politica di neutralità ideologica o religiosa di un datore di lavoro nei rapporti con la clientela non sia di per sé incompatibile con l’uso, da parte dei dipendenti, di segni religiosi visibili; a patto, però, che essi siano di piccole dimensioni e che non si notino a prima vista. 

L’Avvocato generale sostiene, in particolare, che se il divieto di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, ideologiche o religiose sia ammissibile, in forza di una politica di neutralità dell’impresa, il datore di lavoro è tuttavia libero, nel contesto della sua libertà d’impresa, di vietare unicamente l’uso di segni di grandi dimensioni (ad esempio, il velo islamico). Tale divieto deve essere perseguito in modo coerente e sistematico, circostanza la cui verifica spetta al giudice del rinvio. Per sostenere tale tesi viene richiamato un precedente della Corte, i.e. la sentenza G4S Secure Solutions  (cfr. sentenza 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15), ove era stato sostenuto che il divieto di indossare in modo visibile qualsiasi segno di convinzioni religiose sul luogo di lavoro fosse idoneo ad assicurare la corretta applicazione di una politica di neutralità dell’impresa, a condizione che tale politica fosse perseguita in modo realmente coerente e sistematico.

Infine, l’Avvocato generale prende in analisi la questione se la direttiva relativa alla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, la quale cristallizza un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) debba essere interpretata nel senso che essa osti a che un giudice nazionale applichi disposizioni costituzionali nazionali che tutelano la libertà di religione quando esamina un’istruzione basata su una norma interna di un’impresa privata relativa al divieto di indossare sul luogo di lavoro segni di convinzioni politiche, religiose o di altro carattere ideologico. Nello specifico, le disposizioni costituzionali tedesche stabiliscono che la volontà di un datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità religiosa nei confronti della clientela sia legittima (solo) se l’assenza di tale neutralità provocherebbe un danno economico. 

Sul punto, l’Avvocato generale considera necessario tener conto dei diversi approcci degli Stati membri con riguardo alla tutela della libertà di religione: a suo avviso, le disposizioni nazionali tedesche non sono in contrasto con la direttiva  2000/78/CE. Infatti, non vietano una politica di neutralità politica, ideologica o religiosa da parte di un datore di lavoro, ma si limitano a stabilire un requisito aggiuntivo per l’attuazione, vale a dire l’esistenza di una minaccia sufficientemente concreta di svantaggio economico per il datore di lavoro o per un terzo interessato.  Conseguentemente, l’Avvocato generale conclude che un giudice nazionale possa applicare disposizioni costituzionali che tutelano la libertà di religione quando esamina la conformità alla direttiva (di cui supra) di una norma interna di un’impresa privata che vieti di indossare sul luogo di lavoro segni di convinzioni politiche, ideologiche o religiose.  Tuttavia, tali disposizioni non devono ledere il principio di non discriminazione sancito dalla direttiva, circostanza la cui verifica spetta (sempre) al giudice nazionale.

 

(Commento a cura di Alessandro Cupri)