Logo law and pluralism
Logo Università Bicocca

Giurisprudenza in evidenza

Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Commissione sudafricana per i diritti umani in rappresentanza del Consiglio dei deputati ebraici c. Bongani Masuku e un altro, Corte costituzionale del Sudafrica, [2022] ZACC 5, 16 febbraio 2022

Commissione sudafricana per i diritti umani in rappresentanza del Consiglio dei deputati ebraici c. Bongani Masuku e un altro, Corte costituzionale del Sudafrica, [2022] ZACC 5, 16 febbraio 2022

Lo scorso 16 febbraio 2022, la Corte costituzionale del Sudafrica si è espressa su un caso di hate speech nei confronti del popolo ebraico, in sede di impugnazione di una pronuncia della Suprema Corte d’appello, a sua volta adita in gravame avverso una sentenza dell’Alta Corte del Sudafrica (in funzione di Giudice dell’Eguaglianza). La controversia, rispetto alla quale le due Corti inferiori erano giunte a soluzioni contrastanti, verteva su quattro frasi pubblicate su un sito web da Bongani Masuku, noto esponente sindacale, in relazione alle tensioni israelo-palestinesi conseguenti alla guerra di Gaza del 2008-2009.

 

Le frasi evocavano un legame tra le condotte delle autorità israeliane e la Germania nazista: “lottiamo per liberare la Palestina dai razzisti, fascisti e sionisti che appartengono all'era del loro amico Hitler”. Il loro tenore aveva indotto il Consiglio dei deputati ebraici, ente esponenziale della comunità ebraica del Paese, a rivolgersi alla Commissione sudafricana per i diritti umani. Quest’ultima si era risolta ad agire in giudizio, deducendo che ci si trovasse al cospetto di un atto di hate speech, ex art. 10 dell’Equality Act (“Prohibition of hate speech”).

La tesi della ricorrente trovava integrale accoglimento innanzi alla Corte dell’Eguaglianza. La decisione, tuttavia, veniva sovvertita in sede di gravame, ove la Suprema Corte d’appello escludeva l’illiceità della condotta censurata richiamandosi direttamente all’art. 16 della Costituzione (“Freedom of Expression”). La questione veniva, da ultimo, sottoposta alla Corte costituzionale.

 

Nell’illustrare come il caso implicasse un delicato bilanciamento tra i diritti “indispensabili per ogni sano ordinamento costituzionale” (§ 1) all’eguaglianza, alla dignità umana e alla libertà di espressione, la Corte ha ritenuto che la sua soluzione andasse ricercata proprio nell’applicazione dell’art. 10 dell’Equality Act. Ciò, in armonia con il principio di sussidiarietà, il quale implica che né le parti in causa né i giudicanti possano pretermettere, qualora esistente, un atto del Parlamento, emanato per dare attuazione a un diritto di natura costituzionale, facendo invece diretto affidamento sulla Costituzione stessa.

La legittimità di quella disposizione, che introduce limiti alla libertà di espressione più intensi rispetto a quelli codificati nella Costituzione (art. 16.2), era stata tra l’altro già positivamente vagliata dalla precedente sentenza Qwelane, la quale aveva provveduto a una sua parziale riformulazione.

 

Nel merito, il giudice costituzionale ha riconosciuto che le frasi contestate si riferissero all’ebraismo sotto un profilo etnico o religioso, e non meramente politico (antisionismo). Esse avrebbero presentato, ad avviso della Corte, un contenuto d’odio e di offesa, il quale ne avrebbe caratterizzato l’illiceità. Ne è conseguita una condanna della parte resistente a porgere incondizionate scuse alla comunità ebraica.

 

(Commento a cura di Andrea Cesarini)