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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Bouton c. Francia, N. 22636/19, Corte Edu (Sez. V), 13 ottobre 2022

Bouton c. Francia, N. 22636/19, Corte Edu (Sez. V), 13 ottobre 2022

La Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentenza del 13 ottobre 2022 (causa CEDU n. 22636, Bouton c. Francia) si è pronunciata sul ricorso avente ad oggetto la condanna a pena detentiva di un’attivista femminista - membro di Femen - per atti di esibizione sessuale all’interno di una chiesa cattolica.

Il 20 dicembre 2013 la ricorrente manifestava in una chiesa cattolica a Parigi mostrandosi davanti all'altare con il petto scoperto e il corpo coperto di slogan al fine di denunciare la posizione della Chiesa cattolica in materia di aborto.

La ricorrente è stata condannata a pena detentiva di un mese con sospensione condizionale oltre al risarcimento dei danni non patrimoniali con sentenza confermata in appello e in Cassazione. Il giudice di legittimità, in particolare, riteneva che la decisione non violasse la libertà di espressione della ricorrente, poiché tale libertà doveva essere bilanciata con il diritto, riconosciuto dall’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, alla libertà religiosa e a non essere turbato nell’esercizio del proprio credo religioso.

 

Per la Corte EDU, nel contesto di una "performance" di protesta, la condanna rappresentava, invece, un'interferenza con il diritto del ricorrente alla libertà di espressione. La Corte ritiene, in particolare, che la messa in scena di uno "spettacolo", quale combinazione di comportamento ed espressione verbale, sia una forma di espressione artistica e politica che rientra nell'ambito della libertà di espressione di cui la nudità può essere considerata (talvolta) forma di espressione.

Sebbene la condanna di tali comportamenti fosse prescritta dalla legge e perseguisse una finalità legittima, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che la restrizione alla libertà di espressione non fosse necessaria in una società democratica.

La performance aveva lo scopo di trasmettere, in un luogo simbolico di culto, un messaggio relativo a un dibattito pubblico e sociale sulla posizione della Chiesa cattolica su una questione delicata e controversa, vale a dire, il diritto delle donne di disporre liberamente del proprio corpo, compreso il diritto di abortire. Per i giudici di Strasburgo, una pena detentiva inflitta nell'ambito di un dibattito politico o di interesse pubblico è compatibile con la libertà di espressione garantita dall'articolo 10 della Convenzione solo in circostanze eccezionali, in particolare quando altri diritti fondamentali siano stati gravemente violati, come la diffusione di discorsi di d’odio o l'incitamento alla violenza.

Nel caso di specie, sebbene le circostanze del luogo e i simboli utilizzati dovessero necessariamente essere presi in considerazione, quali elementi di contesto per la valutazione dei diversi interessi in gioco, le modalità con cui si era svolta in concreto la protesta non permettevano di considerarla offensiva delle credenze religiose o incitante all’odio verso la chiesa cattolica. La protesta, infatti, non era stata inscenata durante la messa, era stata di breve durata, non erano stati gridati gli slogan esposti sul corpo e la manifestante aveva lasciato la chiesa non appena le era stato chiesto di farlo.

Inoltre, poiché il reato contestato era quello di esibizione sessuale, volto a punire la nudità del petto in un luogo pubblico (e non l’attacco alla libertà di religione), i giudici nazionali si erano limitati a esaminare la questione della nudità dei suoi seni in un luogo di culto, isolandola dalla sua performance nel suo complesso, senza prendere in considerazione, nel soppesare gli interessi contrapposti, il significato che lei vedeva nella sua azione. Infatti, non era stato considerato né il significato degli slogan sul busto e sulla schiena della ricorrente, né il significato che le attiviste di Femen, movimento a cui apparteneva la ricorrente, attribuivano alle loro manifestazioni di nudità e all'uso dei loro seni nudi come "bandiera politica".

 

Per questi motivi, la Corte ha ritenuto che le ragioni addotte dai giudici nazionali non fossero sufficienti a giustificare la pena inflitta alla ricorrente con riguardo alla gravità degli effetti, alla proporzionalità ed infine alle finalità ultime da essa perseguite.

 

(Commento a cura di Alessandro Cupri)