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Una raccolta, ordinata per anni, delle pronunce di maggior rilievo in materia di pluralismo

Aygün c. Belgio, N. 28336/12, Corte EDU (Terza Sezione), 8 novembre 2022

Aygün c. Belgio, N. 28336/12, Corte EDU (Terza Sezione), 8 novembre 2022

La sentenza in esame si concentra su una specifica manifestazione del diritto di libertà religiosa, legata direttamente al diritto, garantito dall’art. 8 CEDU, al rispetto della vita privata e familiare: si tratta del diritto alla pratica del culto, specie del culto dei morti, di cui i giudici di Strasburgo hanno, nel caso portato alla loro attenzione da due cittadini belgi, ravvisato una violazione.

 

Nella specie, i ricorrenti lamentavano il mancato trasferimento nel loro Paese di origine, la Turchia, delle salme dei loro due figli, rimasti vittime di omicidio. Nonostante la richiesta dei genitori, che desideravano seppellirli nella tomba di famiglia e in ossequio alle proprie tradizioni religiose islamiche, le autorità belghe avevano negato tale possibilità, sostenendo la necessità che i corpi rimanessero in Belgio per esigenze di indagine e, poi, processuali. D’altra parte, rimarcavano, i coniugi avrebbero potuto procedere alla sepoltura dei figli anche in Belgio, servendosi di uno dei cimiteri musulmani ivi presenti.

 

Esperite le vie di ricorso giurisdizionale interno e lamentando violazione degli articoli 8 e 9 della Convenzione, che garantiscono, rispettivamente, il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la libertà di pensiero, coscienza e religione, i genitori si sono quindi rivolti alla Corte EDU. I giudici di Strasburgo, dopo aver notato che il diniego delle autorità belghe aveva come scopo essenziale la tutela del diritto di difesa degli imputati nel procedimento per l’omicidio dei due defunti, hanno effettuato un necessario bilanciamento tra la garanzia del giusto processo e i diritti tutelati dagli artt. 8 e 9 della CEDU.

La Corte ha chiarito che non aveva motivo di dubitare della necessità della decisione iniziale delle autorità belghe; tuttavia, ha sottolineato che, per essere compatibile con le garanzie CEDU, qualsiasi ingerenza deve continuare a essere giustificata per tutto il periodo in cui essa sussiste (cioè, nel caso di specie, per tutta la durata dell'indagine), in quanto la necessità di un'ingerenza è suscettibile di diminuire o di cessare di esistere con il passare del tempo. I ricorrenti, nel caso di specie, non avevano avuto a disposizione alcun rimedio per far rivalutare la necessità del rifiuto iniziale da parte del giudice istruttore alla luce dell'avanzamento delle indagini; tutti i loro tentativi di ottenere un riesame della decisione di quest’ultimo erano stati infruttuosi. Inoltre, il Governo non aveva chiarito la possibilità che il diritto interno offrisse un rimedio in grado di far ottenere ai ricorrenti una nuova valutazione della necessità delle interferenze derivanti dalla decisione iniziale del giudice istruttore.

Allo stesso modo, i ricorrenti non avevano avuto l'opportunità di chiedere che il referto dell'autopsia, che non era ancora disponibile al momento della decisione iniziale del giudice istruttore, fosse preso in considerazione. Inoltre, non vi era stato alcun obbligo per il giudice istruttore di rivalutare la necessità della sua decisione iniziale anche quando, come nel caso in questione, l'indagine si era protratta per un lungo periodo. Infine, quando i ricorrenti avevano presentato una nuova istanza al giudice istruttore per ottenere il rilascio dei corpi dei loro figli, non avevano ricevuto alcuna risposta.

 

In sintesi, la Corte ha ritenuto che, a causa dell'incapacità dei ricorrenti di ottenere un riesame della necessità della misura in questione, adottata nella fase iniziale di un'indagine durata circa due anni e mezzo, i tribunali nazionali fossero stati impossibilitati a esaminare la necessità di continuare a interferire con i diritti dei ricorrenti tutelati dagli articoli 8 e 9 della Convenzione. Vi è stata quindi una violazione di questi due articoli.

 

(Commento di Alessandro Negri)