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Abdi Ibrahim c. Norvegia, N. 15379/16, Corte EDU (Grande Camera), 10 dicembre 2021

Abdi Ibrahim c. Norvegia, N. 15379/16, Corte EDU (Grande Camera), 10 dicembre 2021

La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo si è di recente pronunciata sul caso Abdi Ibrahim c. Norvegia, riconoscendo una violazione del diritto al rispetto alla vita privata e famigliare della madre laddove il provvedimento che dispone l’adozione del figlio minore non tenga in considerazione i desideri di questa in relazione alla famiglia adottiva. 

 

Il caso riguarda il provvedimento con cui le autorità norvegesi avevano disposto l’affidamento e poi l’adozione di un minore senza il consenso della madre, rifugiata somala, che pur non contestando la decisione di affidare il figlio ad un’altra famiglia, chiedeva che, nella scelta della famiglia affidataria, ne fosse privilegiata una di fede musulmana, consentendo così al minore di mantenere il legame con il suo sostrato culturale e religioso d’origine.

Il minore veniva affidato e poi adottato da una famiglia cristiana, con decisione che veniva impugnata dalla madre avanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, sollevando la violazione degli artt. 8 e 9 CEDU, nonché dell’art. 2 Protocollo 1. La Corte, con sentenza del 17 dicembre 2019, all’unanimità accoglieva la doglianza relativa alla violazione dell’art. 8 CEDU, della vita privata e familiare della ricorrente.

La ricorrente chiedeva però che la questione fosse rimessa alla Grande Camera, in quanto non era stata presa in considerazione autonomamente la violazione da lei sollevata relativa all’art. 9 CEDU (libertà di pensiero, coscienza e religione). In particolare, la ricorrente rilevava di aver più volte manifestato il desiderio che venisse mantenuta l’identità religiosa del figlio e che tale desiderio non era stato in alcun modo preso in considerazione, poiché il minore, dopo l’adozione, veniva battezzato dalla sua nuova famiglia, senza nessuna possibilità di mantenere un legame con lei e con la sua cultura. 

 

La Grande Camera ribadisce la sussistenza di una violazione dell’art. 8, così come interpretato e applicato in relazione all’art. 9, e ritiene non necessario esaminare separatamente l’allegata violazione dell’art. 9.

Nel suo percorso argomentativo, in particolare, la Corte, ribadisce che l'interesse superiore del bambino impone, da un lato, che i legami del bambino con la sua famiglia siano mantenuti, tranne nei casi in cui la famiglia si è dimostrata particolarmente inadatta, poiché recidere questi legami significa tagliare il bambino dalle sue radici. Pertanto, i legami familiari possono essere recisi solo in circostanze molto eccezionali e che si deve fare di tutto per preservare le relazioni personali e, se e quando opportuno, per "ricostruire" la famiglia.

Nel caso specifico, la violazione del rispetto della vita privata e familiare della ricorrente era individuabile nel processo decisionale che ha portato alla rottura definitiva dei legami tra la ricorrente e il minore, laddove non erano invece ravvisabili quegli elementi di eccezionale gravità tali da giustificare la rottura completa e definitiva dei rapporti tra la madre e il figlio.

 

(Commento a cura di Nadia Spadaro)