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Focus

Uno sguardo d’insieme su alcune tematiche di specifico interesse per il pluralismo

Libertà religiosa e libertà di espressione artistica: evoluzioni e prospettive al tempo della de- materializzazione

Libertà religiosa e libertà di espressione artistica: evoluzioni e prospettive al tempo della de- materializzazione

Come ogni manifestazione del pensiero, anche l'arte è ormai parte integrante della "infosfera" e contribuisce quotidianamente a scrivere le pagine della "iper-storia" in cui sono transitate le società occidentali dal momento in cui la maggior parte delle loro risorse e dati essenziali non si sostanziano più in beni materiali, ma in processi e oggetti ormai privi di qualsiasi connotazione fisica. Le stesse opere d'arte, quindi, che erano già diventate astratte e smaterializzate, hanno subito un'ulteriore smaterializzazione, conoscendo le nuove modalità di diffusione garantite dall'online.

 

Il legame tra arte e religione, storicamente quasi inscindibile, non è venuto meno con la secolarizzazione, ma l'età post-secolare ha finito per restituire una scena artistica in cui il fattore religioso e i suoi simboli sono tornati a giocare un ruolo centrale, seppur con nuovi significati e modalità espressive. In Italia, il dibattito sul rapporto tra arte e religione è tornato di grande attualità negli ultimi anni, e ne è testimonianza la pubblicazione in italiano, nel 2021, del saggio di James Elkins intitolato "Lo strano posto della religione nell'arte contemporanea".  Elkins nota come non sembra esserci più spazio per l'arte religiosa tradizionale, ma piuttosto per opere dissacranti, quasi antireligiose, o a-religiose, in cui i simboli sono utilizzati come riferimento alla più ampia esperienza del trascendente, o alla dimensione di "veicoli di identità" assunta dalle religioni nel post-secolarismo, metafore delle spinte di coesione sociale dell'uomo smarrito di oggi (es. Serrano, Kippenberger, Lachapelle, Hirst).

 

La natura criptica del messaggio artistico contemporaneo, dovuta tanto alla molteplicità di significati di cui oggi sono dotati i simboli, anche religiosi, riprodotti nelle opere d’arte, quanto alle attuali modalità espressive (performance, installazioni, arte visiva, ecc.), e la straordinaria diffusività dei mezzi di comunicazione online che possono ospitarlo (specie in pandemia, vista la sospensione di tutte le attività fieristiche e museali), pone nuovi interrogativi anche al giurista, se non altro per l'inedita possibilità di intercettare in termini di sensibilità pubblici anche molto distanti che, in uno scenario ancora analogico e non digitale, non avrebbero mai deciso consapevolmente di esporsi al rischio di immagini anche scomode, potenzialmente a rischio di offesa.

 

Senza voler qui soffermarsi nel dettaglio sull'importanza garantita alla libertà artistica nel nostro ordinamento, è sufficiente ricordare l'apoditticità della disposizione ad essa dedicata dalla Costituzione nel primo comma dell'articolo 33, che non vi pone alcun limite espresso. Naturalmente, ciò non significa che esso sia da considerarsi sconfinato; al contrario, il suo esercizio può pacificamente essere fonte di responsabilità sia civile che penale. Soprattutto su quest'ultimo fronte, l'ordinamento giuridico punisce notoriamente condotte di vilipendio e danneggiamento che possono essere integrate anche dalle più diverse manifestazioni artistiche. Si pensi a un'installazione in cui l'esecutore deturpi un oggetto di culto per rappresentare la decadenza morale della comunità che si identifica con quel simbolo; pur mancando l'intenzione specifica di offendere una confessione religiosa, tale condotta potrebbe rientrare tra quelle sanzionate dall'art. 404, secondo comma, del codice penale, che richiede solo il generico intento, seppur intenzionale, di danneggiare. Ma non solo: poiché anche le autorità religiose costituiscono pacificamente un simbolo, non è raro che anch'esse diventino oggetto di rappresentazioni artistiche, con modalità e finalità molto diverse. In questo caso si può ipotizzare il reato di vilipendio di una confessione religiosa mediante vilipendio di persone (art. 403 c.p.), che può essere integrato anche da una manifestazione di libertà artistica se si concretizza in una rappresentazione indecorosa e offensiva e quindi "altamente volgare ed idonea al vilipendio della religione". Le espressioni in cui si sostanzia quest'ultima fattispecie possono anche consistere in scritti, disegni, gesti e non richiedono necessariamente la pronuncia di parole.

 

Ora, notoriamente, i reati di cui sopra sono di scarsissima applicazione e, per i casi di vilipendio, prevedono esclusivamente pene pecuniarie. Ben più gravi, quindi, possono diventare, agli occhi degli artisti, sanzioni "private" come la rimozione da un social network di un post in cui compare una loro opera o, addirittura, la sospensione o la cancellazione del loro profilo. Questi interventi, infatti, finiscono per costituire, nell'era digitale, le vere censure del nostro tempo, molto più di quelle applicabili dalle istituzioni pubbliche. In un'epoca in cui queste ultime si stanno muovendo, almeno nei sistemi giuridici occidentali, per smantellare progressivamente i tradizionali apparati di censura, il ruolo dell'Inquisizione contemporanea è oggi pacificamente assunto dalle piattaforme digitali, dotate di funzioni finora tipicamente statali.

 

Il fatto che le aziende private si dotino di un proprio sistema di regole in cui si incarnano i loro valori e la loro identità non è certo un fatto nuovo. Al contrario, la contemporaneità è caratterizzata da realtà produttive sempre più condizionate da componenti valoriali, tanto da imporre un'estensione della tradizionale categoria delle organizzazioni di tendenza a tutte quelle esperienze impegnate nella diffusione di un ethos aziendale.

La circostanza, tuttavia, diventa particolarmente rilevante se sono i principali ambiti in cui si esprime oggi la personalità degli individui ad avere regole proprie, non statali e, anzi, "sovrastatali", visto che queste piattaforme operano a livello globale. Nel caso specifico delle manifestazioni di sensibilità religiosa, quindi, potremmo chiederci quale spazio potrebbe essere loro concesso, al di là dell'aspetto artistico, da un social network che adottasse una politica di pura neutralità o, al contrario, che esprimesse una chiara adesione a qualsiasi orientamento ideologico o religioso.

Tuttavia, per quanto riguarda le piattaforme mainstream, è il modo in cui viene costruita la loro tendenza a essere inedito. È noto che, se da un lato sono particolarmente rigidi i vincoli inerenti alla pubblicazione di materiale pornografico, fino ad arrivare a esiti paradossali nei casi in cui sono stati censurati profili di istituzioni culturali pubbliche per la promozione di opere d'arte raffiguranti nudi, dall'altro sono pienamente consentiti i post a contenuto politico o religioso.

Non si tratta però di una mancanza di scelta sul punto, quasi di una "neutralità per astensione" come quella che necessariamente connota la politica dell'UE (a causa del principio di attribuzione); al massimo si potrebbe parlare di "neutralità per convenienza" o "neutralità per consenso".

 

A rischio di cinismo, infatti, va sottolineato che la ragione primaria, nonché pienamente legittima, per cui le piattaforme decidono di dotarsi di un apparato di regole che limitano alcune manifestazioni di pensiero è principalmente economica. A ben vedere, infatti, i social non esprimono alcuna tendenza, ma hanno una funzionalità primaria attorno alla quale orientano tutte le loro azioni: la massima diffusione. L'ambiente che intendono offrire, quindi, è quello che riflette le aspettative dei loro utenti, non un ipotetico Eden. Il difficile equilibrio, dunque, a cui aspirano è quello tra il massimo grado di libertà da concedere ai clienti e una minima ma necessaria protezione che li faccia sentire, per quanto possibile, garantiti da contenuti in cui non vogliono incorrere. Troppa censura, in altre parole, può portare a una perdita di quote di mercato, ma anche troppa libertà.

Nel rapporto tra privati di cui stiamo parlando - social media e utenti - non sembra quindi opportuno scomodare concetti complessi come quello di laicità, anche se il tema di come questi siano declinati oggi non solo per i soggetti pubblici è sempre più attuale. Il rapporto tra le piattaforme e il fattore religioso è infatti definito da norme che esprimono una tendenza dell'organizzazione, ma una tendenza che deriva dagli umori, attentamente studiati dalle piattaforme stesse, dei loro utenti che, ad esempio, possono non voler rischiare, agendo in quello spazio, di essere oggetto di discriminazione, o di imbattersi in scene pornografiche, o in rappresentazioni artistiche in cui il simbolo della loro fede è usato impropriamente.

 

Non ci troviamo più, quindi, di fronte alla tradizionale dinamica artista-governante a cui la storia ci ha abituato. Ora, i confini di ciò che è lecito e di ciò che non lo è si spostano secondo la volontà della maggioranza, recepita dai nuovi censori nelle loro politiche per continuare a godere del loro consenso e della conseguente fiducia. È questo il punto di equilibrio in nome del quale gli odierni spazi di espressione della personalità individuale possono anche limitare l'espressione artistica. Solo i prossimi anni, o forse decenni, potranno fornirci qualche ulteriore indicazione sulla deriva di questa tendenza, ma già ora si tratta di un tema che non può non interessare anche il diritto, messo alla prova da sfide inedite in grado di minare l'essenza stessa dell'arte, che si è nutrita fin dalle sue origini dello scandalo che sconvolge la maggioranza.

 

(Focus a cura di Alessandro Negri)

 

Giurisprudenza in evidenza:

 

Corte di cassazione italiana civile, Sez. III, 7 maggio 2009, n. 10495

 

Corte di cassazione italiana civile, Sez. I, 23 marzo 2017, n. 7468

 

Corte di cassazione italiana penale, Sez. III, 13 ottobre 2015, n. 41044

 

Bibliografia essenziale:

 

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